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13/02/2020 06:00:00

Omicidio maresciallo Mirarchi: l'arresto di Girgenti, l'ergastolo e il processo d'appello

 Potrebbe esserci già il 2 marzo prossimo la sentenza di secondo grado a carico di Nicolò Girgenti, condannato all’ergastolo ad ottobre del 2018 per l’omicidio.

Per il bracciante agricolo marsalese che si è proclamato innocente davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Palermo, è stata chiesta dal procuratore generale Costanzo la conferma dell'ergastolo per l'omicidio del maresciallo Silvio Mirarchi, avvenuto il 31 maggio del 2016 in contrada Ventrischi a Marsala, mentre con un collega stava facendo un pattugliamento nei pressi di una serra. Anche la difesa di parte civile, rappresentata dall'avvocato Piero Marino ha fatto la medesima richiesta del procuratore generale.

Per quanto riguarda la difesa dell'imputato, l'avvocato Genny Pisciotta ha chiesto l'assoluzione di Girgenti dopo aver ripercorso i punti salienti del processo di primo grado che, a suo dire avrebbe riportato diverse lacune sia negli atti investigativi che nella stessa sentenza.

L’omicidio del maresciallo Mirarchi - All’epoca Mirarchi era vice comandante della stazione di Ciavolo, fu ferito a morte con un colpo di pistola, come detto, la sera del 31 maggio 2016 nelle campagne di contrada Ventrischi a Marsala, mentre con un altro carabiniere, l’appuntato Cammarata, era impegnato in un appostamento (volto a contrastare furti in campo agricolo) nei pressi di una serra all’interno della quale furono, poi, scoperte 6 mila piante di canapa afgana. Sette sarebbero stati, secondo gli inquirenti, i colpi di pistola esplosi da almeno due persone contro i due militari.

L’arresto di Girgenti e le accuse – Nicolò Girgenti fu arrestato una ventina di giorni dopo a seguito delle indagini del Comando dei carabinieri di Trapani e degli accertamenti del Ris di Messina, secondo i quali bracciante era nella zona dei fatti all’ora della sparatoria. La sua auto, quella sera, sarebbe transitata dalla strada in cui fu ucciso Mirarchi.

Le prove - Addosso, inoltre, gli furono trovate tracce di sostanze (nichel e nichel-rame) che, secondo l’accusa, sono presenti nella polvere da sparo. Anche se, secondo la difesa, potrebbero essere ricollegate all’uso dei fertilizzanti maneggiati da Girgenti sua attività lavorativa. Secondo l’accusa, la sera del 31 maggio 2016, all’arrivo del maresciallo Mirarchi e dell’appuntato Cammarata, Nicolò Girgenti, insieme a qualche altro complice, stava rubando piante di marijuana dalla serra che aveva gestito fino a circa tre mesi prima e vistisi scoperti, Girgenti e il complice non esitarono a far fuoco contro i due carabinieri.

Le dichiarazioni di Girgenti e gli spostamenti dell’auto - Dopo avere individuato il presunto assassino (o comunque uno dei due presunti assassini), gli investigatori hanno cercato di capire quali sono stati i suoi movimenti tra le 21.51 (ora della sparatoria) e le 22.10. A mettere con le spalle al muro il Girgenti sono state le sue prime dichiarazioni. Ai carabinieri, infatti, ha inizialmente, detto che quella sera era ritornato a casa, non distante dal luogo dell’omicidio, intorno alle 20.30 e non sarebbe più uscito. Ai militari che hanno bussato alla sua porta disse che era andato a dormire, ma in aula il luogotenente Alberto Furia ha riferito che il suo volto non gli era sembrato “assonnato”.

Le registrazioni delle telecamere - Dalle immagini registrate da due telecamere, inoltre, ha detto il maresciallo Pipitone, si vede passare, pochi minuti dopo il delitto, un’Audi A3 metallizzata con cerchioni delle ruote particolari simile proprio a quella del Girgenti. Sulla sua auto, inoltre, il bracciante marsalese, per risparmiare sull’assicurazione, aveva fatto installare un dispositivo (Gprs) che rileva gli spostamenti del mezzo. E dal Gprs (General Packet Radio Service) gli investigatori scoprono che l’auto, intorno alle 22, era in movimento. Quindi, Girgenti era al volante di quell’auto (a meno che non dimostri che l’avesse prestata a qualcuno) nei frangenti in cui fu commesso l’omicidio. Perché, dunque, ha mentito agli investigatori sui suoi movimenti di quella drammatica sera? E’ questo lo pone in grave difficoltà. Ne mina la credibilità agli occhi di carabinieri e Procura.

Il processo di primo grado e la difesa di Girgenti - Inizialmente l’avvocato Vincenzo Forti e poi Genny Pisciotta hanno cercato di cavalcare la possibile pista del “fuoco amico”, ma questa è stata categoricamente esclusa prima dal maggiore Antonio Merola e poi da perito balistico Claudio Gentile. Lo scorso 11 giugno, infine, il pentito palermitano Sergio Macaluso, ex reggente del mandamento mafioso di Resuttana, ascoltato, su richiesta dell’avvocato difensore Genny Pisciotta, ha dichiarato: “Francesco Lojacono (genero di Francesco D’Arrigo, ndr) mi disse che aveva messo degli uomini armati a lui vicini a guardia delle serre di marijuana che aveva impiantato tra Marsala e Trapani”. Secondo Macaluso, che comunque non ha fatto i nomi degli uomini armati posti a guardia delle serre con la marijuana (anche se la difesa ha evidenziato che il pentito ha parlato di uomini reclutati a Partinico), una parte del ricavato di quell’attività illegale doveva andare al clan mafioso da lui capeggiato. Per gli inquirenti, a sparare sette colpi di pistola contro Mirarchi e l’appuntato Cammarata, rimasto casualmente illeso, sarebbe stato il Girgenti insieme ad un altro complice.

La condanna all'ergastolo in primo grado - Nicolò Girgenti, bracciante agricolo e vivaista di Marsala, è stato condannato dalla Corte d’assise di Trapani (presidente Piero Grillo) per l’omicidio, in concorso con ignoti, del maresciallo capo dei carabinieri Silvio Mirarchi. La condanna ha previsto 4 mesi di isolamento diurno. Ed inoltre tutta una serie di pene accessorie, come l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale durante l’esecuzione della pena, pagamento delle spese processuali e del suo mantenimento durante la custodia cautelare in carcere e soprattutto il risarcimento danni per le parti civili, la moglie di Mirarchi, Antonella Anna Pizzo, e i figli Debora e Valerio, la madre del sottufficiale ucciso, Ida Bagnato, la sorella e il fratello (Giulietta e Romeo Mirarchi).