Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
15/03/2020 06:00:00

Immunità di gregge? Sì, ma all'italiana

Grazie a quel pazzo di Boris Johnson il mondo ha scoperto in queste drammatiche ore che per debellare un'epidemia esistono solo due maniere: quella di tutti, e quella degli inglesi. La prima, noi italiani la conosciamo ormai da alcuni giorni assai bene, e prima di noi l'hanno conosciuta i cinesi, e dopo di noi la conosceranno da domani gli spagnoli, e uno dopo l'altro tutti (probabilmente, speriamo) i popoli del pianeta: consiste nello stare a casa, nel tenere le distanze gli uni con gli altri, nel porre un freno o un blocco totale a quasi tutte le attività della normale vita economica e sociale. Questa è la saggia via detta del “contenimento”, che sicuramente funziona, che assicura la tenuta delle strutture ospedaliere, e che limita al massimo la perdita di vite umane, come le esperienze della regione cinese di Hubei e quella nostra del Lodigiano hanno dimostrato, rispettivamente su grandissima e su piccolissima scala.

La seconda via, che il premier britannico ha annunciato al popolo con l'avallo del suo consigliere scientifico Patrick Vallance, è quella del lasciarsi andare al flusso naturale dell'epidemia, per ottenere alla fine la cosiddetta “immunità di gregge”. Tradotto in parole più semplici e crude: è la via del suicidio collettivo. E badate bene, Johnson non ha usato queste precise parole, ma ha espresso il concetto in termini perfettamente equivalenti, e per certi aspetti non meno agghiaccianti. Ha detto: “Molte famiglie perderanno i loro cari”. E la cosa incredibile è che il glorioso Times ha espresso subito appoggio e ammirazione per le sue dichiarazioni, arrivando al punto di paragonarle pomposamente alla stoica promessa churchilliana delle “lacrime e sangue” nel 1940, e all'esempio strategico di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore.

Ora, se l'argomento di cui stiamo trattando non fosse dei più seri e drammatici, io sarei tentato di liquidare la politica antiepidemica di Boris Johnson con la frase che Fantozzi pronunciò per giudicare la Corazzata Potiomkin. Ma il problema è che qui, appunto, stiamo ragionando di terribili sofferenze e di innumerevoli vite umane. L'immunità di gregge, che “l'esperto” Vallance ha illustrato con freddo stile accademico, è un traguardo – per niente affatto garantito – teoricamente raggiungibile solo nel caso che almeno il 60 per cento della popolazione venga contagiata dal virus. Ora, il calcolo è facile: i britannici sono 67 milioni. Il 60 per cento di 67 milioni equivale a 42 milioni e 200 mila. Infine, se, nella migliore delle ipotesi, solo l'uno per cento dei contagiati dovesse morire, la cifra totale dei morti per coronavirus nel Regno Unito potrebbe toccare quota 420.000. Ma è una stima per difetto. Dunque, quasi mezzo milione di morti. Un'ecatombe di proporzioni agghiaccianti.

Ma c'è di più. Ed è che in realtà non di un'ecatombe si dovrebbe parlare, ma di un autentico e consapevole genocidio. E la ragione è semplice. Quella che molti osservatori hanno già definito la “Brexit sanitaria” voluta da Johnson, non è altro che un'estrema applicazione – cinica e criminale – del darwinismo sociale connaturato all'ideologia neoliberista che da alcuni decenni domina la politica del Regno Unito. In questa visione, che antepone il profitto e il denaro ai valori dell'umanità, è implicita l'accettazione del fatto che, per esempio in casi di calamità naturali come le epidemie, si debbano sacrificare le vite dei più deboli e delle fasce meno abbienti e fortunate della popolazione: i vecchi, i malati, i poveri e gli emarginati che non possono accedere a tutte le cure di una sistema sanitario ormai quasi totalmente privatizzato.

Questa è la realtà. Ed è su questo che noi italiani ed europei dobbiamo riflettere fortemente in questi giorni drammatici. Noi italiani, così (ancora) fortunati da disporre di un sistema sanitario pubblico ed efficiente. Un sistema da difendere e da potenziare, a tutti i costi. Combattendo con energia l'evasione fiscale, la corruzione e il malaffare. E poi... e poi ci sono loro, le migliaia di nostri connazionali che ogni sera cantano e suonano sui balconi e alle finestre delle città, da Aosta a Palermo, e applaudono al sacrificio degli operatori sanitari che, lavorando allo stremo delle forze, stanno salvando le nostre vite. Cantano “Volare” e l'Inno di Mameli. Comunicano tra di loro senza sosta sui social, scambiandosi un fiume di vignette, video e audio umoristici e sdrammatizzanti. Obbediscono alle regole imposte dal Governo restando nelle loro case. Dimostrano pazienza e saggezza. E ogni tanto versano lacrime, quando nel vedere le loro città deserte vengono presi da una stretta al cuore. Come anch'io ho fatto stamattina, quando un'amica mi ha inviato una galleria di foto di una Milano vuota e spettrale.

Questa è la nostra immunità di gregge: queste lacrime, questi sorrisi, questi canti alle finestre che ci fanno riscoprire il senso della nostra comunità. Di questa immunità di gregge siamo fieri. Perché è giusta, è umana, e perché alla fine sarà quella che vincerà e ci libererà dall'incubo di questo maledetto virus. Mai come adesso anch'io mi sento fiero di essere italiano. E vorrei che questa fosse anche l'Europa, tutta l'Europa, la vera Europa. Circola in queste ore anche una storiella sull'invidia che il mondo ha verso di noi, verso il nostro meraviglioso Paese. Sì, è vero, gli altri ci invidiano, ci hanno sempre invidiati. E poi ci imitano, ci imiteranno sempre in quelle che sono le nostre virtù. Solo in quelle, speriamo, solo in quelle!
Avanti così, andrà tutto bene, ce la faremo!

Massimo Jevolella