Come sta reagendo Castelvetrano al coronavirus?
Possiamo dire che si è adeguata ai decreti. E che, dopo i primi giorni di assestamento, la consapevolezza di come contenere il contagio sembra aver attecchito.
La città si è praticamente svuotata e la gente esce di casa soltanto se necessario, per fare la spesa, andare in farmacia…
Certo, ci sono anche quelli che continuano a bighellonare senza meta. Ma sono sempre meno e destinati a diminuire drasticamente, magari pure con serie conseguenze penali.
Quello che stiamo vivendo è però un evento sociologico abbastanza complesso, in cui la tendenza a ragionare di pancia rischia di essere amplificata, più o meno consapevolmente, da un mostro forse più pericoloso del virus: i social.
Da strumento principe in grado di sopperire alle ridotte relazioni con gli altri, rischia di essere usato nella maniera sbagliata, trasformandosi in un amplificatore di barbarie incontrollabili, con una caccia all’untore simile a quella già descritta dalla storia e dalla letteratura.
E’ successo in diverse città e Castelvetrano non ha fatto certo eccezione.
Per esempio, ci sono stati due casi di persone prese di mira da gruppi whatsapp che li indicavano come possibili positivi al virus o ricoverati, con tanto di invito a stare lontani da tutti i componenti della loro famiglia.
Non era vero. Ma sono bastate poche sensazioni ad accendere una pericolosa miscela di ansia, paura, ignoranza, (e forse anche un po’ di cattiveria) che ha dato il via ad un tam tam di impietosi messaggi whatsapp.
Alla fine, entrambi erano risultati negativi al virus e sono intervenuti sui social a ripristinare la verità sul proprio conto.
Adesso sembriamo essere nella “fase della retorica”, descritta dallo scrittore francese Albert Camus nel 1947.
Nel suo romanzo, intitolato “La peste”, scrive che “Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso l’abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio”.
Insomma, non avendo ancora a che fare in modo diretto con le conseguenze terribili del contagio (con la sventura), è la fase in cui tutti hanno da dire la loro, da suggerire precauzioni e pontificare sull’opportunità dei provvedimenti.
Ed è in questa fase che si inscrive la polemica sul mercato settimanale del contadino, che si è svolto sabato scorso.
La città (o meglio i social, difficile dire quanto davvero la rappresentino) si è spaccata tra chi si è scagliato contro il sindaco, “reo” di averlo autorizzato e chi invece lo ha considerato più sicuro dei supermercati, visto che si è svolto all’aperto e nel rispetto della distanza interpersonale con la vigilanza delle forze dell’ordine.
Un mercato, è bene precisarlo, di poche postazioni e molto diverso da quello del martedì che invece è stato chiuso. Una decisione presa dalla giunta comunale, sulla base dell’ordinanza regionale che garantisce le attività dirette alla vendita dei soli generi alimentari. E al mercato del contadino viene venduta soltanto frutta e verdura a chilometro zero.
E se una parte della cittadinanza auspica regole più restrittive, un’altra (si spera davvero residuale) cerca di aggirare quelle esistenti, spostandosi da un luogo all’altro dello stesso comune e portando con se delle autocertificazioni abbastanza fantasiose.
Autocertificazioni che per coloro che sono arrivati dalle regioni del nord hanno invece tutti i crismi per essere in regola: “Rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.
A meno che non abbiano deciso da soli di fare quello sforzo in più auspicato da Giuseppe Conte: “Se si vuole davvero bene ai propri cari, e per il bene di tutti, vanno evitati questi viaggi”.
Uno sforzo che dovrebbe essere superiore anche alla condizione di ritrovarsi da soli in una cittadina del nord, magari senza più un lavoro retribuito e con l’affitto e la spesa da pagare.
Eppure, in uno degli ultimi controlli effettuati sul treno da Milano verso le regioni del sud, quasi 500 persone – assicura la Polfer – “hanno dimostrato di avere una giusta motivazione” e di essere sfebbrati.
Ecco quindi come le regole possono essere aggirate. E ricorrendo alla forma, si possono evitare le sanzioni.
A sanzionare pesantemente tutti senza troppe formalità potrebbe però essere il coronavirus, rivelando la sua presenza, dopo le incubazioni asintomatiche.
Si dirà, i soliti meridionali.
E invece no.
Perché la tendenza ad aggirare le regole è la stessa anche al nord.
Quando il governo aveva cercato di limitare i focolai instaurando le zone arancioni, la gente si è spostata nei comuni confinanti dove non c’erano ancora divieti, chiedendo la residenza in modo da essere liberi di girare (e di far girare anche il virus).
Ecco che gli uffici anagrafe sono stati presi d’assalto da richieste di cambi di residenza da parte di chi proveniva da quelle zone. E, per non ammettere di aver violato le disposizioni, hanno dichiarato che si trovavano nel nuovo comune già da diversi giorni, presso parenti o amici.
E va beh, procedure che vanno per le lunghe…
Niente affatto. Dal 2012, la normativa anagrafica è cambiata: c’è la cosiddetta “residenza in tempo reale”, per cui si viene inscritti in anagrafe entro due soli giorni ed i controlli vengono fatti dopo.
Intanto il procedimento veniva avviato e l’autocertificazione per gli spostamenti sarebbe stata perfettamente riscontrabile, senza rischio di sanzioni.
Poi, quando tutta l’Italia è stata dichiarata “zona rossa” e nessuno si sarebbe più potuto allontanare da casa senza comprovate necessità, è rimasta sempre la possibilità di ottenere una residenza temporanea o una certificazione di domicilio, per spostarsi più agevolmente tra i due comuni (di residenza e di domicilio), anche qui senza rischio di sanzioni.
Qualcuno però a Castelvetrano ha messo l’accento sui controlli in modo da impedire che, pur senza assembramenti, al mercato del contadino vadano le persone anziane che, per decreto dovrebbero stare comunque a casa e la spesa dovrebbe fargliela un convivente più giovane o un’associazione di volontariato.
La speranza è che le forze dell’ordine possano intervenire per evitarlo.
E nelle cittadine del nord?
Anche lì i mercatini del contadino sono rimasti quasi tutti aperti, pure durante il periodo delle zone arancioni, come i supermercati.
Ma pochissimi interventi sarebbero stati fatti per limitare la partecipazione degli anziani.
E in tante aree del nord è diventata un’occasione di socialità, che viene replicata anche nelle farmacie.
I bar sono chiusi e gli anziani possono passare il tempo in fila davanti alla farmacia a chiacchierare tra di loro. Poi entrano e chiedono una mascherina, anche se fuori c’è il cartello con su scritto che sono esaurite.
E quando il farmacista, più esaurito delle mascherine, ricorda loro che devono rimanere a casa perché i farmaci li portano le associazioni di volontariato, dicono che passeranno il giorno seguente. Non si sa mai.
Insomma, se si vuol chiacchierare un po’, chiunque, anziano o no, può andare a fare la fila in farmacia. Se lo fermeranno, dirà che ha mal di testa e gli servono le Moment.
Male che vada, alla fine comprerà le Zigulì.
Ecco, se si guardasse più alla sostanza che alla forma, sia al nord che al sud, l’Italia non rischierebbe di affondare.
Chi suona dai balconi spera di approdare sulla terra ferma. Magari evitando gli iceberg.
Ad oggi, restare umani è il vaccino più potente. Poi viene tutto il resto.
Egidio Morici