di Massimo Jevolella
“Cari fratelli dell'altra sponda/ cantammo in coro qui sulla terra,/ amammo in cento l'identica donna/ partimmo in mille per la stessa guerra./ Questo ricordo non vi consoli,/ quando si muore si muore soli...”. Così cantava Fabrizio De Andrè nella chiusa di una delle sue canzoni più celebri, “Il testamento”. Quei versi amari, e quella musichetta beffarda, continuano a ronzarmi nella testa da un po' di giorni. Non mi danno né tregua né pace, se devo essere sincero. Perché non posso togliermi dalla mente e dal cuore il pensiero di tutti coloro che se ne sono andati, e che se ne stanno andando, nella solitudine atroce dei letti di terapia intensiva, o in quella ancor più agghiacciante delle loro residenze domestiche, o nelle penombre di anonime stanze delle case di cura per anziani. Lontano dai loro cari. Vittime, alcuni, di antichi abbandoni. Senza una mano pietosa che potesse accarezzare le loro mani. E poi chiusi in quei sacchi, sigillati, e subito spediti lontano, lontano. Da inumare, da bruciare e scomparire per sempre insieme ai miliardi di virus che li avevano invasi.
Sappiamo che a morire non sono soltanto “i vecchi già affetti da varie patologie”, come ora si usa dire. Sono anche uomini e donne ancora nel fiore degli anni. Eppure è a quei vecchi che il pensiero corre con l'angoscia più cupa. Ai più fragili, falcidiati come agnelli sacrificali tra le mura delle ormai famigerate Rsa, le Residenze sanitarie assistite. Non solo in Italia, si sa. Anche in Francia, in Gran Bretagna, e quasi ovunque. In Spagna è accaduto perfino che i corpi esanimi di alcuni di quei poveri vecchi siano stati abbandonati nei loro letti di morte, per paura del contagio, e poi scoperti, giorni dopo, durante delle ispezioni. Puro orrore.
Lungi da me il proposito di inerpicarmi qui in analisi e denunce su quanto è accaduto. Di tali discorsi, necessari e doverosi, rigurgita ormai da giorni ogni mezzo d'informazione. Solo, e assai brevemente, vorrei tornare sul tema umano. Non sullo sdegno, ma sulla pietà. Un uomo che al tema della vecchiaia dedicò un bellissimo libro – Cicerone, De senectute – scrisse più o meno queste parole (cito a memoria): “La vecchiaia è quella cosa che tutti vogliono raggiungere, ma che, una volta raggiunta, tutti odiano”. Credo che possa essere questo il migliore spunto per una buona riflessione. Messo in termini ancora più crudi, quel che dice Cicerone è questo: noi odiamo proprio la cosa che in fondo desideriamo di più. Svalutiamo e detestiamo ciò che per noi, in fondo, possiede il massimo valore. È un assurdo, è un paradosso. Eppure è proprio così, né più e né meno.
“Ma c'è vecchio e vecchio”, diranno subito in molti. C'è il vecchio sano e c'è quello malato. E noi vorremmo tutti arrivare ancora “belli e sani” alla vecchiaia, nevvero? E allora, eccola qui la verità. Per togliere peso a quel paradosso, o addirittura per cancellarlo, noi ricorriamo disperatamente alle categorie di “sano” e di “malato”. Il primo ci va bene. E l'altro? Se ha un tumore in fase terminale, se ha il cuore, o i polmoni, o altri organi devastati da patologie irreversibili, se è un demente, un paralitico, che ne facciamo? No, non è quella la vecchiaia che noi vogliamo. E allora? Quelli, gli “affetti da varie patologie pregresse”, se ne possono andare, nel buio, nel silenzio, nella solitudine assoluta? È così che vogliamo pensare?
Io non lo so. Non voglio giudicare. Ripenso a quei versi di De Andrè. Mi ronzano nella mente e mi straziano il cuore, incessantemente, in questi giorni orribili. E penso che forse il poeta non volesse riferirsi a questo o a quel vecchio, a quello sano o al malato. Il poeta, credo, pensava all'uomo, alla nostra condizione umana. Pensava al dolore, a cui nessuno, sano o malato che sia, potrà mai sfuggire. Il giovane Siddharta uscito dalla sua reggia dorata vide la realtà del mondo. Vide la vecchiaia, la malattia e la morte. “Quando si muore si muore soli”. Prendiamone atto. Amore e pietà sono gli unici rimedi per noi tutti. Mano nella mano, fin quando è possibile. Oltre il possibile può arrivare soltanto il cuore.