Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
09/05/2020 06:00:00

L'assassino di Via della Clessidra. Istruzioni per l'uso /6

di Marcello Benfante, con le tavole di Gianni Allegra 

[Nelle puntate precedenti: L’investigatore privato Ferraù Maltese, scettico per natura, nutre seri dubbi sui metodi un po’ troppo sofistici del Professore. Leonardo Zingales è invece un idealista che ha fede incrollabile nel mondo e nella vita. I due amici fanno un sopralluogo in via della Clessidra. Affiorano dei sospetti sul conto della vittima, il ragionier Grevaglio, che pur essendo incensurato potrebbe forse esercitare loschi traffici d’usura. Ma l’ipotesi è solo speculativa. Si recano quindi al Museo Salinas dove incontrano una loro amica: la bella archeologa Dora Demetri, che sembra avere con il Professore una somiglianza metodologica, nonché un ambivalente e antico legame.]

VII
ISTRUZIONI PER L’USO

Il Dottor Quaresma allora mi guardò fisso, e mi disse con grande semplicità: “Non ho niente da dire. Come ha già capito, ho risolto – e posso dirle che l’ho risolto con molta facilità – il suo caso. Il resto sono affari suoi”. (Fernando Pessoa, «Il furto nella Villa delle Vigne»)

La Vucciria, alle sette di sera, appariva ancora più desolata e malinconica. Un senso di abbandono e di decadenza si stendeva su ogni cosa come una specie di polvere o di muffa depositata dalla storia. Nulla sembrava più lontano dalla cornucopia dipinta da Renato Guttuso dei suoi vicoli ora bui e vuoti che attendevano sgomenti l’invasione notturna di un’incongrua movida di giovani discotecari.

Le basole delle sue vie, le “balate” che secondo un antico proverbio non avrebbero mai potuto asciugarsi per la perpetua irrorazione della merce effettuata dai verdurai e dai pescivendoli, adesso s’erano fatte secche come le pietre di un rudere abbandonato al sole e ai venti del deserto.

Ogni costruzione, abitata o abbandonata a un fantasmatico svuotamento, sembrava sul punto di crollare su se stessa.

Il Professore ci accolse con amichevole mestizia. Aveva già cenato, ovviamente gratis, dal poliparo, devotissimo amico, e si era ritirato a rileggere, come una specie di breviario, l’inseparabile Montaigne nel suo studiolo-bidonville.

- Il mio è un mondo che sta scomparendo. Come me, del resto... – ci disse con una voce velata di nostalgica stanchezza.

Una coppola e uno scialle lo proteggevano dall’umidità serotina. Indossava guanti senza punte e un lungo e pesante pastrano grossolanamente rattoppato e rammendato.

- Solo chi vive sulla strada come me sa quanto possa essere fredda la nostra città. Aveva ragione Tomasi di Lampedusa a parlare di una “ubiquitaria umidità palermitana”... sembra di stare in mezzo al mare, alla deriva. E di naufragare inesorabilmente.
- Professore, non dovrebbe essere impossibile trovarle un alloggio... se permette potrei occuparmene io...
- Caro amico, la ringrazio di tutto cuore, ma non potrei più adattarmi a vivere sotto un tetto: “il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”, per dirla con Kant.
- E il gelo nelle ossa... – commentò il mio amico col suo solito sarcasmo.
- Oh, quanto questo non siamo che scheletri ambulanti, morti che camminano. Non mi sono mai interessato alle istanze del corpo, alle sue prepotenze. Quella della salute è un’ossessione che non mi commuove, anzi non mi riguarda.
- A proposito di morti. A che punto sono le sue indagini? – tagliò corto Ferraù, che invece era un ipocondriaco cronico.
- Vedo che lei è uno a cui piace balzare subito in medias res, caro Falcone…
- Io mi chiamo Maltese…
- Oh, mi scusi, sono incappato in uno dei miei soliti bisticci. Ma per andare al sodo vi dirò che ritengo di avere risolto il caso, almeno nelle sue linee generali. Nella mia mente ho risposto a tutte le domande essenziali. Si tratta adesso di effettuare una verifica empirica. E a questo provvederete voi...
Il Professore aveva studiato bene il suo coup de théâtre. Restammo di stucco, ammutoliti: io per ammirazione, il mio amico per stupefatta incredulità. Fu lui il primo a reagire.
- Ci illumini, Professore. Come ha fatto a venire a capo del mistero in così poco tempo.
- Semplicemente sono stato ad ascoltare la gente, a osservare i particolari, a percepire delle sensazioni che poi sono diventate idee e hanno composto il mio teorema.
- Ossia? Insomma, in pratica, qual è stato il suo modus operandi?
- Non si tratta di una tecnica, bensì di una disposizione sentimentale. Bisogna prestare orecchio alla voce della città, al suo cuore malato.
- Sì, ma in parole povere... cosa può dirci di concreto?

- Ebbene, mi sono messo a mendicare in via della Clessidra. Tra parentesi: vi transita gente avarissima che non mi ha elargito neanche un centesimo. Tuttavia, il mio scopo era un altro. Ho origliato una serie di discorsi tra i residenti che si sono rivelati molto istruttivi. Niente di nuovo, come vedete. È la più antica tattica investigativa: mescolarsi tra la gente sotto mentite spoglie. Io, poi. Non ho dovuto neanche travestirmi, anche se in un certo senso recitavo una parte nei miei stessi panni e mentivo dicendo il vero. Così sono venuto a sapere che la vittima non era certamente uno stinco di santo, come la stampa, superficialmente, lo ha dipinto. Sostanzialmente faceva lo strozzino. Detto inter nos: è incredibile quello che le forze di polizia riescono a non sapere, quando non hanno intenzione di sapere. A volte ho l’impressione che sappiano tutto di tutti e niente di nessuno.
Come vedete, il tempo ha un ruolo centrale nel nostro caso. Che cos’è infatti l’usuraio se non il mercante sacrilego che vende il tempo che è invece appannaggio di Dio? Ossia che trasforma il tempo in denaro rubandolo al cielo? Molta gente gli doveva somme ingenti. E molti altri si erano rovinati a causa sua, non potendo far fronte ai debiti e agli interessi progressivi. Di nemici, pertanto, ne aveva a iosa. Più d’uno gli avrebbe volentieri tirato il collo. Peraltro, il sapere che la vittima non sia, tout court, ascrivibile alle file dei buoni, potrebbe indurci a pensare che il reo, in fin dei conti, non sia del tutto malvagio. Bisogna sempre considerare le due facce della medaglia, e quanto dolore possa raggrumarsi anche in chi infligge violenza.
- Questo retroscena sull’attività di usuraio del Grevaglio chiarisce probabilmente l’aspetto relativo al movente.
- Esatto. Ma la scoperta più interessante è stata la locandina del café-chantant. Piuttosto efficace. L’avete notata?
- Veramente non ci abbiamo fatto caso – ammisi con un imbarazzato senso di colpa.
- Avreste dovuto. Vi siete avvicinati molto alla soluzione, ma non avete curato abbastanza i dettagli...
- Lei che ne sa... come fa a dirlo?
- Ero lì, no? Ero seduto per terra in un angolino, a chiedere l’elemosina ai passanti, quando avete effettuato la vostra perlustrazione del luogo del delitto. Non mi avete notato. E per la verità nessuno ha fatto caso a me. Sembravo l’uomo invisibile. Anzi, la cosa invisibile. Non ero che un oggetto insignificante del paesaggio urbano, come può esserlo un lampione o un’insegna. La mancanza di pietà è in fondo una forma di cecità. Io però vi ho guardato con attenzione e ho anche udito una parte dei vostri discorsi. Per esempio quelli sulla poetica di Aristotele. Davvero molto arguti e attinenti.
- In che senso?
- Ogni cosa a suo tempo. Il senso lo scoprirete stasera, al “Colapesce”, alla fine dello spettacolo.
- Non vuole anticiparci nulla?
- Concedetemi almeno il piacere di un effimero surplace intellettuale. C’è una platealità carnascialesca nella vicenda che mi autorizza a giocare un po’ con la vostra curiosità.
- Va bene, stiamo al gioco. Cosa dobbiamo fare?
- Nient’altro che andare al “Colapesce”, prenotare un tavolo, gustare una saporita cena... ho sentito dire che il cuoco sia un marocchino impareggiabile nelle salse piccanti, ma prendete l’informazione col beneficio dell’inventario... godervi lo spettacolo incluso nel prezzo, osservare, applaudire, trarre le ovvie conclusioni. Facilissimo. Come dire: l’utile e il dilettevole. Ad ogni modo, in questa busta troverete delle semplici istruzioni.
- Tutto qui?
- Sì, per ora non c’è altro. Nient’altro, almeno, che mi riguardi. Per conto mio, penso di aver risolto l’indovinello. Quanto ai provvedimenti pratici da adottare, sono ovviamente competenza esclusiva delle autorità. La Giustizia farà il suo corso. Presumibilmente lento. È ovvio che ci sono ancora degli aspetti marginali da focalizzare e verificare. A partire dall’identità personale del colpevole, che io non posso logicamente desumere...
- Non mi pare poco! Anzi, diciamo pure che si tratta della cosa più importante...
- Non si preoccupi. Ogni risposta verrà da sé, necessariamente. Basterà seguire le indicazioni che vi ho consegnato.
- Già, la busta... come nei quiz televisivi. O come una specie di caccia al tesoro...
- Definizione perfetta. Stevensoniana, direi. La mappa l’avete: contate i passi e scavate.
- Per un aspirante investigatore fare lo spalatore non è un compito particolarmente gratificante...
- Non se ne crucci troppo. Col tempo, con l’esperienza, sono certo che imparerà a valutare indizi che per ora non considera neanche tali. Per esempio il nome del locale, il “Colapesce”, creatura anfibia e ambigua. O magari quel cratere attico raffigurante un’amazzomachia, che forse avete ammirato al museo Salinas in cui vi siete così opportunamente recati.
- E lei come lo sa?
- Elementare Watson. Anzi, banale. La guida del museo, che lei ha diligentemente acquistato, sporge in modo ben visibile dalla tasca del suo cappotto. Ogni cosa, tutt’intorno, a saperla osservare e interrogare, risponde alle nostre domande e ci schiude l’arcano.
- Già, a volte le cose sono più ovvie di quanto sembrano a prima vista. Quanto alle Amazzoni, non le avevano finora prese in considerazione. Ma, per restare in tema mitologico, una nostra amica archeologa ha elaborato una sua ipotesi, piuttosto poetica, sul bivio di Ercole.
Subito dopo aver pronunciato questa frase, che per me non aveva alcun significato pregnante, mi accorsi che al Professore tremavano le mani e che il suo viso, solitamente serafico, esprimeva d’un tratto un palese turbamento o forse addirittura una commozione.
- Ercole? Perché no. Mi pare un riferimento molto pertinente. In fondo per Stesicoro non era che un fuorilegge. La vostra amica deve avere un intuito sopraffino. Suppongo sappia che ognuno di noi è sempre alle prese con un suo bivio. Ed è sempre un po’ schizofrenico nelle sue scelte esistenziali.

***

Per leggere le puntate precedenti:

Il duplice assassino di Via della Clessidra. Una burla /1

Il duplice assassino di Via della Clessidra. Uno strano caso /2

Il duplice assassino di Via della Clessidra. In cerca dell'uomo /3

Il duplice assassino di Via della Clessidra. Disarmonie prestabilite /4

Il duplice assassino di Via della Clessidra. Ercole al bivio /5