Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
10/05/2020 06:00:00

Il maggio più triste della nostra vita

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa breve e toccante nota di “amarcord” in tempi di coronavirus, inviataci da Luigi Pastori, giornalista e fotoreporter lombardo in pensione, che vive a Castano Primo, grosso borgo situato nei pressi dell'aeroporto di Malpensa. Un borgo che ha sofferto molto a causa della pandemia. Luigi ha perso amici e conoscenti, uccisi dal virus. Alcuni erano suoi compagni di scuola e di giochi negli anni beati dell'infanzia. 

Maggio è il mese più bello, non c’è dubbio. Lo è ora che abbiamo passato i settant’anni in tempo di coronavirus e lo era quando eravamo ragazzetti. Quando la natura si risveglia lo vede anche un distratto. Si usciva finalmente da quelle mura povere e fumose per lasciarci sedurre dal sole splendente, dal verde tenero di ogni albero che metteva le prime foglie dopo una fioritura folle. Il suono delle campane era diverso da quello dell’inverno, sembrava rassicurarti che tutto andava bene, che la vita è bella e senza fine. E ci si rotolava sulla prima erba dei prati, tutto era nuovo, tutto in divenire.

Si pensava alla fine della scuola ormai prossima. Maggio era il mese della Madonna, la sera c’era la benedizione e dalla nostra periferia si andava soli sino alla chiesa grande. Ed era davvero uno spasso. Coi sandali senza calze. Qualcuno aveva le scarpe da ginnastica Superga, costavano mille lire, una vera iattura perché puzzavano da morire. Ma erano più apprezzate dei sandali. Ragazzi e ragazze, si passava il canale gonfio d'acqua sino a lambire l’erba. Il prete lamentava dal pulpito che la benedizione non doveva essere il pretesto per uscire la sera ma un atto di devozione sentito. Ma era proprio una bella occasione per uscire nella tiepida aria dell’imbrunire per ritornare col buio rincorrendo le lucciole.

Quando il prete si apprestava ad elargire la benedizione vestito con la pianeta di broccato ci si fiondava nel campanile per appendersi alle corde delle campane da suonare a distesa, inutilmente sgridati dal sagrestano impotente. Io che sono sempre stato un moderato mi attaccavo alla corda più sottile. Armando che è sempre stato un esagerato si appendeva al campanone con la corda più robusta e si lasciava trascinare in alto sino alle travi con i piedi per aria per non battere la testa. A maggio c’era il giro d’Italia e qualche volta passava anche dal nostro paese, noi bambini seduti nel fosso con le bandierine tricolore di carta nelle mani. A maggio si andava a scuola con la sola blusa nera e sotto avevamo la maglietta a righe con le maniche corte.

Dopo quasi due mesi di confinamento forzato, oggi 4 maggio 2020 con mia moglie Lisa sono uscito a piedi per una camminata di oltre dieci chilometri passando per le cascine Cantona, Cornarina, ponte di Nosate, lungo il canale passando per la diroccata Malpaga e per finire a prendere il giornale in piazza. La giornata era splendida, il verde straripante, la voglia di evadere incontenibile ma si è consapevoli della convivenza con un virus letale che può trovarsi in tutti quelli che incroci con la mascherina sul volto. Maggio, sempre bello, quest’anno non è il prologo dell’estate che sta arrivando ma la continuazione di una lunga e triste stagione che non sappiamo ancora quando finirà e che sta riducendo l’autunno di noialtri ragazzi anziani.

Forse tra qualche tempo e con qualche titubanza riprenderemo ad abbracciarci come prima. Ma il coronavirus ha cristallizzato quei “ciao Walter” e “ciao Franco” scambiati scherzosamente per strada a fine febbraio non sapendo che sarebbero stati gli ultimi. Non sapendo che quegli amici non li avremmo rivisti mai più.

Luigi Pastori