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12/05/2020 06:00:00

Silvia, ma che hai fatto?

Cara Silvia, o Aisha se lo preferisci, chi ti scrive – e chissà se tu leggerai mai questa lettera – è un uomo di una certa età, che ha dedicato oltre metà della sua vita allo studio del Corano e della cultura islamica. Sono milanese come te, non del tuo Casoretto ma dell'Isola, e però conosco bene anche il tuo quartiere, e la chiesetta antica di Santa Maria Bianca che tu frequentavi e dove, immagino, hai appreso da bambina gli insegnamenti del Vangelo e il valore immenso dell'amore cristiano. No, nessuna paternale, per carità! Non ti voglio rimproverare per avere deciso di recitare la shahàda, la professione di fede dell'Islàm. Ci mancherebbe altro. Hai compiuto un passo importante, e lo hai fatto nel tuo pieno diritto, e nel completo esercizio della tua consapevolezza e della tua libertà di coscienza. Nessuno, e per nessuna ragione, dovrebbe rimproverarti per questo.

Eppure – e mi rendo ben conto che l'argomento è assai delicato: un autentico campo minato – io vorrei dirti in modo molto chiaro quello che sto provando, e che sto pensando, nell'assistere, sgomento, alla terribile polemica che si è scatenata sul tuo clamoroso ritorno in Italia nelle vesti di una “convertita” all'Islàm. Santo cielo, Silvia, ma che hai fatto? Sei ben sicura di non avere mai né previsto né immaginato la tempesta dell'odio, dell'ira, degli insulti, il calvario delle persecuzioni e delle probabilissime minacce che d'ora in poi ti toccherà affrontare e subire qui, nella tua patria, dopo aver passato quei diciotto mesi di prigionia in Somalia? Ti rendi conto che una sterminata folla di gente volgare e grossolana, di estremisti politici e di implacabili odiatori da tastiera non aspettava altro che un caso come il tuo, per rilanciare alla grande la campagna di linciaggio e di discredito contro le organizzazioni di volontariato, che nei mesi della pandemia s'era quasi eclissata? Ti rendi conto che ora, e proprio ora, tu sei caduta veramente nella fossa delle belve più feroci?

Nelle mani dei sequestratori hai vissuto in relativa tranquillità. Questo è ciò che hai dichiarato: potevi solo leggere, dovevi solo pazientare, ti davano un buon cibo e nessuno ti torceva un capello o ti aggrediva con parole umilianti o con minacce. Adesso invece... Dio mio, Silvia, io temo per te. Prima eri certa che da quella prigione saresti stata liberata. Era solo questione di tempo, e ovviamente anche di denaro. Ora invece ti sei intrappolata in una nuova prigione ben più aspra e buia. Una prigione da cui non potrà liberarti mai nessuno. Né teste di cuoio, né riscatti milionari, né pianti, ragioni o preghiere: nulla potrà più infrangere le sbarre dell'odio ottuso e feroce dietro le quali ti sei reclusa, e pare allegramente, con le tue stesse mani.

Beata ingenuità, beata fede sognante dei tuoi vent'anni! La stessa fede, è evidente, che due anni fa ti indusse a lasciare la tua vita milanese per andare in Africa a prestare soccorso agli ultimi della Terra. Volevo farlo anch'io, sai, alla tua età. Mi ero iscritto a Medicina e sognavo di andare in una Lambaréné come il dottor Schweitzer. Poi compresi che non ero tagliato per fare il medico, cambiai facoltà e abbandonai quella romantica idea. Però ricordo bene le risatine di scherno e i commenti allarmati e perfino sprezzanti che i miei propositi “missionari” avevano suscitato. Sai, Silvia, e certo lo sai benissimo, che la gran parte della gente comune non è in grado di capire e di perdonare gli slanci d'amore di un giovane. Possono magari far finta di approvarti, e perfino di ammirarti, ma in fondo quasi tutti pensano che tu sia un matto, un incosciente, uno che in realtà sta smaniando per “andarsele a cercare”.

E questa è la folla anonima che ora i professionisti dell'odio stanno cercando di aizzare contro di te. Questo è il popolo a cui si rivolgono, cara Silvia. E per crocifiggerti, stai attenta!, già usano e sempre più useranno con veemenza rabbiosa una serie di argomenti tanto capziosi e ipocriti quanto potentemente suggestivi per le deboli menti e i piccoli cuori delle persone comuni, che in questo momento sono già estremamente provate dal trauma della pandemia e dalla paura della miseria incombente. Stanno già gridando, per esempio, che di affamati e di povera gente da soccorrere ce ne sono già tanti in Italia, e che dunque è da stupidi voler andare per forza “tra i négher” a dare una mano ai disgraziati. E questo, credimi, è forse fra tutti l'argomento più subdolo, capzioso e letale. Forse ancor più di quello dei presunti quattro milioni “gettati al vento” per il tuo riscatto.

Hai voglia infatti a ribattere che in Italia operano, come hanno sempre operato, centinaia di migliaia di volontari che in tutti i campi prestano con grande dedizione il loro tempo, i loro sforzi, le loro professionalità e perfino i loro mezzi economici, per soccorrere i malati, i poveri, i bisognosi, ovunque essi siano e a qualsiasi condizione appartengano. Angeli della strada che distribuiscono coperte e bevande calde d'inverno, volontari delle ambulanze, delle organizzazioni caritative, e infiniti altri che sarebbe troppo lungo elencare. E dunque, di che parlano quelli che ti accusano di non essere rimasta a Milano per aiutare il prossimo? Invece di sputarti addosso tanto veleno, perché non vanno anche loro, almeno un giorno al mese, o alla settimana, a dare il loro contributo per il sostegno dei senzatetto, dei malati, dei vecchi abbandonati, dei derelitti, che certamente non mancano nemmeno a pochi metri dalle loro case?

Altro argomento velenosissimo che ti sputano addosso: perché, o ingrata, ti sei convertita proprio alla fede dei terroristi che ti hanno rapita? E qui, Silvia, difendersi dalle accuse è forse ancora più difficile. In primo luogo perché l'islamofobia è ben lungi dall'essere tramontata. Voglio dire: quanti, ancora oggi, non riescono a distinguere l'Islàm dal terrorismo islamico? Il pregiudizio e l'ignoranza qui regnano sovrani e incontrastati. Triste dirlo, ma è fiato sprecato spendersi in discorsi seri per far capire alla “massa” che il messaggio autentico dell'Islàm è in realtà un messaggio di pace. Tu che hai letto il Corano lo sai bene. Come sai benissimo che Gesù, nel Corano, è considerato come il profeta più vicino a Muhammad, e il più venerabile insieme a lui. Ma a che serve ripeterlo? Magari tra un secolo si estinguerà questa sbornia di odio, e solo quando i fanatici di tutte le fedi si estingueranno, in un mondo finalmente purificato da tutti i veleni ideologici e confessionali.

Ma in secondo luogo, Silvia, difendersi da quest'accusa è difficile per una questione di stile. Sì, permettimi di dire questo, con sincerità. Non per farti la paternale, ripeto. Ma qui una piccola critica te la devo pur fare. E senza la minima acredine, sappilo! Anzi, con vero affetto, con tutta la tenerezza che la tua giovane età ancora ingenua e sognante mi ispira. (E uso il termine “ingenuo” non in senso spregiativo, ma al contrario, nel senso etimologico di “genuino”, e “intimamente autentico”). Ecco, questo ti voglio dire: non è stata un'idea geniale quella di sbarcare a Ciampino avvolta in quella veste. Sarà stato pure il segno di una “santa follia”. Ma non è stata un'idea geniale quella di sbandierare ai quattro venti la tua conversione. La fede, Silvia – ma questo lo imparerai senz'altro maturando, perché tu certo sei una ragazza estremamente riflessiva e intelligente – è soprattutto una conquista interiore che si compie nel silenzio e nella gioia dello spirito. Più la sbandieri, e più la esponi al mondo falso e spietato dei pregiudizi e delle miserie umane. Più la nascondi, e più saprà crescere forte e sincera. C'è un proverbio arabo che dice proprio: “Nascondi la tua lucerna. Brillerà”. Capisci, Silvia, quello che voglio dire? Se esponi all'aperto quella tua fiammella preziosa, il vento te la spegnerà. Se la metti al riparo, sarà sempre più forte e luminosa.

Con affetto sincero,

Massimo Jevolella