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12/07/2020 06:00:00

Santa Sofia, una sconfitta per l'umanità

di Massimo Jevolella

Ottantacinque anni fa Kemal Atatürk l'aveva trasformata in un museo. Aveva fatto scrostare gli intonaci che per secoli avevano nascosto gli splendidi mosaici bizantini che l'adornavano. Aveva restituito agli sguardi di tutti la meravigliosa basilica cristiana di Aghia Sofia (Santa Sapienza) che i sultani ottomani avevano convertito in moschea. Nel 2011 l'Unesco l'aveva dichiarata Patrimonio dell'umanità. E nel 2014 Papa Francesco, dopo aver pregato accanto al Gran Muftì musulmano nella Moschea Blu, l'aveva visitata, soffermandosi a lungo in atto di profonda ammirazione. Ma oggi tutto è cambiato. Erdogan, il nuovo sultano turco, ha voluto così. Il grande sogno di un tempio sacro per tutti, aperto a tutti, credenti di ogni fede e non credenti, è finito, e forse per sempre. Santa Sofia è di nuovo una moschea. Uno spazio riservato a pochi. E così l'umanità è sconfitta. E il fanatismo identitario di una malintesa religione islamica può celebrare il suo trionfo.

Perché dico “malintesa”? Perché il nucleo vivo e originario dell'autentico Islàm non è fatto di chiusura, ma di apertura. L'Islàm del Corano e dei primi secoli, fino allo scontro totale con la Cristianità delle Crociate e della Reconquista iberica, ha saputo dare al mondo esempi fulgidi di una cultura universalista e inclusiva. L'imperatore Akbar, nell'India dei Moghul, aveva ben compreso questo spirito irenistico – quello che nel Corano si focalizza nell'ideale abramico di una fede monoteista pura – e lo aveva tradotto nel tentativo grandioso di dar vita a una nuova religione universale. I mistici musulmani, come Rumi, o Kabir, o al-Hallag, avevano scritto odi sublimi dedicate proprio alla luce spirituale di quella Sapienza divina (Sofia in greco, Hikma in arabo) che non divide gli uomini, ma li unisce nel nome di un unico Amore per il Creatore di cui tutti siamo figli, e che tutti ci fa fratelli.

Erdogan, il nuovo sultano turco, nella sua cupa visione sovranista e identitaria, ha dichiarato guerra da tempo proprio a questo grande e nobile Islàm delle origini. Non per nulla, egli rivolge il massimo del suo odio e della sua feroce persecuzione nei confronti di Fethullah Gülen, il mistico turco, oggi esule negli Stati Uniti, che da decenni predica appunto il dialogo delle fedi, l'abbraccio di tutti i fratelli, la comprensione umana che supera anche le distinzioni fra credenti e non credenti. Gülen è accusato di “universalismo” eretico da Erdogan, esattamente come Soros, in Ungheria, è accusato di “mondialismo” da Orban. Erdogan e Orban sono gemelli e militanti della stessa guerra che vede opposte sulla scena globale due visioni inconciliabili del futuro dell'umanità. Nemici della democrazia e della libertà.

Da quale parte stare, è ovvio. E il tristissimo esempio che oggi ci viene dalla riconsacrazione islamica di Santa Sofia ne è la dimostrazione. Lì si è persa un'occasione stupenda, che la Turchia aveva per dare al mondo un segnale di pace, apertura e progresso. Per dire che la fede non è una maledizione totalitaria, non è esibizione di simboli e di atti esteriori, ma è Libero Spirito, è fiamma e verità che arde nel cuore, come Paolo di Tarso insegnava. Non è odio tra fazioni di tribù guerriere, ma amore tra pacifiche comunità di esseri umani. Sicuramente Papa Francesco sperava e pregava per una vittoria finale della Sapienza divina, il giorno in cui si affacciò stupito nello scenario immenso della basilica di Santa Sofia. Il sultano sovranista ha deciso invece di uccidere quella speranza. Per tenersi buoni i fanatici che gridano nelle piazze. Peccato. Mala tempora currunt. E a noi non resta che appellarci alla Santa Pazienza. E calati juncu, che passa la china.