Si chiude oggi il nostro approfondimento sui rapporti che legavano la famiglia Florio alla mafia, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Tutto quello che riporteremo è desunto dal Rapporto Sangiorgi (1898/1900) e dai lavori dei principali studiosi dell'argomento (Salvatore Lupo, John Dickie, Orazio Cancila)
di Marco Marino
1. La mafia non esiste
Settembre 1901. Siamo a Bologna, Ignazio Florio è chiamato a deporre al secondo processo per l’omicidio del marchese Emanuele Notarbartolo, il primo “delitto eccellente” nella storia della mafia siciliana. Non sappiamo cosa dica esattamente una volta interrogato, c’è però un giornale socialista di Palermo, «La Battaglia», che prova a ricostruire ironicamente la sua testimonianza.
Ignazio Florio: «La maffia? Non l’ho mai sentita nominare».
Pubblico Ministero: «Già, la maffia, un’associazione che delinque contro le persone e le proprietà, e di cui talvolta si servono anche nelle elezioni».
Ignazio Florio (scattando): «È incredibile come si calunnia la Sicilia! La maffia nelle elezioni! Mai! Mai!».
Quanto c’è di vero nella satira del quotidiano palermitano? Molto più di quanto potremmo immaginarci. Ignazio Florio da tempo sostiene pubblicamente, anche attraverso le pagine del suo giornale «L’Ora», il «Comitato Pro-Palizzolo e Pro-Sicilia» che altro non è che un gruppo di influenti siciliani impegnati a dimostrare che la mafia non esiste, che è soltanto un’invenzione dei settentrionali per screditare il Meridione, e che l’onorevole Raffaele Palizzolo, accusato di essere il mandante dell’assassinio Notarbartolo, è una persona perbene, altruista e magnanima con la povera gente.
2. Un comodo letto
Raffaele Palizzolo è un uomo che sta in mezzo. In mezzo tra il Parlamento italiano e Cosa nostra. È una delle prime figure grigie dello Stato, uno Stato che ha appena quarant’anni di vita. A Palermo si dice che accolga ogni giorno un'immensa folla di postulanti, seduto comodamente sul suo letto a baldacchino dalla robusta struttura in mogano intarsiata di madreperla. Lacrime favori e baciamani.
Nel 1888 Palizzolo viene eletto nel consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia, di cui è direttore generale Emanuele Notarbartolo. Palizzolo e i suoi potenti amici palermitani - e tra questi compaiono sicuramente i Florio - hanno un piano in testa, ma prima devono togliersi dai piedi l’integerrimo Notarbartolo. Ci vogliono due anni di pressioni politiche, ma alla fine ci riescono, il marchese di San Giovanni viene sollevato dal suo incarico e loro hanno la possibilità di muoversi liberamente.
3. A vele spiegate
Il loro intento è chiaro e semplice: usare i soldi della banca per alzare il prezzo delle azioni di una delle maggiori compagnie di trasporti in Italia ovvero la Navigazione generale italiana. Che vede come suo principale azionista un certo Ignazio Florio, l’ultimo rampollo della dinastia imprenditoriale più famosa del Paese. Palizzolo gestisce l’operazione dall’interno, che fila liscia come l’olio, arricchendo tutti gli attori del colpo che oggi definiremmo con l'espressione insider trading. Tutto fila liscio, dicevamo, almeno fino al 1892.
Lo scandalo della Banca Romana del 1892, infatti, fa temere un ritorno di Notarbartolo alla direzione del banco siciliano. Notarbartolo era conosciuto per la sua autorevolezza e per il suo rigore, era la persona perfetta per gestire il generale momento di crisi amministrativa degli istituti di credito. Ma se Notarbartolo torna - ne sono consapevoli Palizzolo, i Florio e i loro complici - non gli sarà affatto difficile scoprire il sistema di interessi che si era costruito negli anni. Sono spacciati. A meno che…
4. Il primo delitto eccellente
Nella Storia ci sono sempre delle date spartiacque, dei momenti che segnano un prima e un dopo, che sono in grado di farci intuire il destino di una nazione. Ecco, il 1° febbraio 1893 è una data che non viene mai presa davvero in considerazione, eppure potrebbe segnare un secolo, un intero secolo, 1893-1993: la mafia siciliana esegue il suo primo delitto eccellente il 1° febbraio 1893, su di un treno diretto verso Palermo. La vittima è Emanuele Notarbartolo. La mano armata di Cosa Nostra, che tanto abbiamo imparato a temere, terminerà la sua scia di assassinii cent’anni dopo, a seguito dell’arresto dei superlatitanti che ordiscono stragi per tutt’Italia.
5. Una voce che parla nel deserto
Talvolta, anche le voci che parlano nel deserto vengono ascoltate. L’unico che denuncia l’omicidio Notarbartolo, accusando direttamente Palizzolo e il sistema di potere che incarna, è il figlio, Leopoldo Notarbartolo. E grazie alla tempesta mediatica suscitata dal primo processo di Milano e dal secondo processo di Bologna (quello in cui testimonia Ignazio Florio, anche se solo come testimone a discarico), e alle spinte del governo nazionale guidato dal generale Luigi Pelloux, si arriva persino a una clamorosa condanna nel 1902. Raffaele Palizzolo, l’eminenza grigia palermitana, l’uomo delle prime trattative Stato-mafia, dovrà scontare trent’anni di prigione.
Da quel momento, la famiglia Florio intraprende una vera e propria campagna politica, attraverso il «Comitato Pro-Sicilia e Pro-Palizzolo», che mostra il deputato siciliano, ingiustamente incriminato, come un martire degli interessi settentrionali. Sulle colonne del giornale «L’Ora» si legge di continuo che il processo era una messinscena per mortificare ancora una volta il Sud Italia, e la mafia di cui adesso si comincia a parlare è solo una mera invenzione.
La fine di questa storia è triste e nota. Nel terzo processo di Firenze, nel luglio 1904, Palizzolo viene assolto. In Sicilia la notizia arriva come l’avvento di una grande festa. Si celebrano processioni, manifestazioni di piazza. E ricominciano lacrime favori e baciamani.
Marco Marino
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Per leggere la prima parte: I Florio e la mafia. Lo strano furto all'Olivuzza