di Massimo Jevolella
È morto l'altro ieri a Palermo all'età di 70 anni, dopo lunga malattia, il professor Giuseppe Lo Manto – Pippo, per tutti – finissimo docente liceale di letteratura italiana e latina, da molto tempo infaticabile animatore delle prestigiose e fortunate “Settimane dantesche” che si tengono ogni anno in ottobre nel capoluogo siciliano. Lo Manto lascia moglie e tre figli. Le esequie si sono svolte ieri. Immensa la tristezza dei suoi allievi. Grande il cordoglio nella città, che anche per bocca del sindaco Orlando ha espresso in queste ore tutto l'affetto e la stima per un uomo infinitamente gentile, colto, modesto e appassionato nell'amore per il “suo” Dante e per la sua missione di educatore.
Pippo! Perché? Tu non dovevi andartene proprio ora, ora che tutto il mondo si accinge a parlare, e forse anche a straparlare, del “tuo” Dante, del Dante che amavi tanto, del Fiorentino di cui ricorrerà l'anno venturo il 700° della morte, e a cui hai dedicato tanta parte dei tuoi studi, delle tue passioni, della tua vita. Sai, Pippo, caro amico mio, spesso mi sono chiesto di che tipo di uomo il tuo Dante si sarebbe innamorato, lui che si suole immaginare di carattere così sdegnoso e altero. E mai come ora la risposta m'è sgorgata facile dal cuore: sei tu. Tu sei l'uomo che Dante avrebbe amato, e ora ti dico perché.
Ricordi, Pippo, il secondo canto del Purgatorio? A un verso di quel canto tu volesti dedicare la Settimana di studi danteschi del 2009: “Che la dolcezza ancor dentro mi sona”. Ecco, è l'incontro col musico Casella. Visione improvvisa, là sulla ripa del monte che sconfina con la sua vetta nell'aere mistico delle sfere celesti. Là, in quel regno onirico di ombre, Dante ha un sussulto. È la vita che gli viene incontro. Il ricordo vivissimo di un canto, di un'armonia: “Amor che nella mente mi ragiona/ cominciò elli allor sì dolcemente...”. Soave è la voce del musico fiorentino. Troppo dolce il suo canto. Dolcezza di gioie terrene, nostalgia della vita. E infatti Dante non riconosce subito la natura ultraterrena di Casella. Tenta vanamente di abbracciarlo, come se fosse ancora vivo e in carne ed ossa. Un antico affetto si risveglia in lui, uno struggente ricordo e desiderio di passioni umane. Per un istante, il pellegrino celeste dimentica d’essere in viaggio verso il paradiso, e si ritrova a Firenze, giovane, infiammato di sogni e di amore, di nobilissimi ardori erotici e politici, estasiato dal canto soave dell’amico che aveva musicato i versi di alcune delle sue poesie.
Ecco, mio Pippo, per dirla in tutta semplicità: tu sei quel Casella che Dante ancora abbraccerebbe, dimentico della morte, perfettamente memore della tua umana dolcezza, della soavità con cui sapevi trattare con tutti, dell'umiltà, del garbo, del profondo rispetto che esprimevi con la stessa gioiosa spontaneità con cui un musico profonde le sue note e il suo canto.
Voglio ricordarti così, e non voglio aggiungere altro, Pippo mio caro. Grazie per la dolcezza che hai seminato in questo mondo. Grazie per la cultura che hai fatto amare a tanti giovani. Cultura d'amore, sapienza di cuore. Sursum corda! Ora sei già lassù, accanto a Matelda che incede leggera nel giardino dell'Eden “cantando e scegliendo fior da fiore”. Cantando, anche lei. Come Casella, che di lei è immagine terrena e presentimento spirituale. Passione umana che si fa ombra, e sale, sale, e nell'ascendere si annienta verso la meta che certamente anche tu sognasti tanto.