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09/08/2020 06:00:00

Stasera va in scena lo spettacolo "Tu che nella notte nera": una storia che non concede lacrime

 Sulla scena del Complesso Monumentale San Pietro di Marsala, stasera alle 21.30, prenderà spazio la voce di una donna che ha sofferto la peggiore violenza che un essere umano possa subire. Eppure «Tu che nella notte nera», scritto da Katia Regina e Giacomo Bonagiuso (che ne cura anche la regia), non ha come protagonista una delle classiche eroine della tragedia greca, la sua non è la storia di Medea o di Clitennestra, di Elena o di Ifigenia. Le loro vite sono famose, nel corso dei secoli tanti sono stati i drammaturghi capaci di raccontare le loro disavventure. La voce di stasera, a cui Diana D’Angelo presterà il corpo, è invece la voce finora inascoltata di una ragazza siciliana, di una semplice ragazza siciliana. Una semplice ragazza siciliana che, però, come nelle tragedie greche, è destinata a vivere il dolore più assoluto, alla ricerca di una possibile, o di un’impossibile, redenzione. «Stavo facendo il radiogiornale, quando mi imbatto in questa notizia che mi trapassa, mi travolge», ci rivela Katia Regina. «Non è la prima volta che mi capita di ritrovarmi dentro storie forti, per cui l’unico modo che ho per liberarmene è scriverne. E così ho cominciato a farlo quasi sotto dettatura, sono diventata una sorta di medium di questa voce straziante». Un’esperienza che più prosegue, più scava a fondo e più sente l’esigenza di trovare un sostegno, e qui si manifesta il fondamentale ruolo di Giacomo Bonagiuso: «Man mano che scrivevo, mandavo il manoscritto a Bonagiuso, il quale mi esortava a infilarmi nel sangue, perché io vigliaccamente cercavo di sfuggire dai momenti salienti, mettendo una canzone, una poesia. Giacomo invece mi incalzava, dicendomi che il teatro è sangue e nel sangue bisogna immergersi. Era la prima volta che scrivevo per il teatro: ho ricreato la scena del crimine e ho sentito il dolore di quella donna. L’interpretazione di Diana lo restituisce, poi, con una ferocia calma e inesorabile».

La prima domanda che sorge è sicuramente com’è possibile rappresentare un simile dolore. «Allontanandosene», ci risponde Giacomo Bonagiuso. «Altrimenti il teatro rischia di fare l’effetto opposto. La tragedia greca insegna che la catarsi non è un fattore suggestivo, ma un fattore intellettuale. Molti cercano l’emozione facile. Con un testo del genere strillare, strapparsi i capelli, esibire ferite sarebbe stato facile. Avrebbe fatto il gioco del malfattore. Ma la grande tragedia ci dice il contrario: tu non devi piangere, devi commuovere; non devi ridere, devi divertire. Noi quindi ci siamo allontanati da quel testo. Con il cinismo dei teatranti e degli attori che già prestando il loro corpo scontano col dolore la compromissione maggiore».

Un testo che non dà tregua né pace, non indulge nel vittimismo e non concede consolazioni. «Con Diana abbiamo lavorato su una linea comune», continua Bonagiuso, «evitare il ricatto psicologico, evitare che un semplice pianto lavi la coscienza di tutti. Se il teatro ha una vocazione morale, non moralistica, non deve fare il professorino che insegna. Deve farti tornare a casa con un disagio. E quindi questo testo non ti concede le lacrime, non te le concede come lavacro che ti purifica, che ti fa dire “tanto non sono io il mostro”, “tanto io non picchio…”, ma ti concede il groviglio nella pancia, ti fa pensare: “ma se quelle voci che ho sentito erano una violenza io perché non li ho chiamati i carabinieri?” Perché tanto poi le voci tacciono, ma il dramma resta».

L’appuntamento irrinunciabile è stasera. È possibile prenotare il proprio posto presso la Pro Loco di Marsala. C’è una storia che sente l’esigenza di essere raccontata, bisogna avere il coraggio di prestarle ascolto.