In occasione di una manifestazione per il 14 maggio tenutasi a Salemi nel Castello arabo-svevo ebbi a commentare che non ero orgoglioso, come cittadino, di celebrare la ricorrenza con la quale, nella medesima data del 1860, Garibaldi proclamava da Salemi la Dittatura in nome di Vittorio Emanuele “Re d’Italia” e assumeva lui il comando delle forze nazionali.
Lo scritto è ricordato in una lapide appesa sul Palazzo Comunale: «Italia e Vittorio Emmanuele. Giuseppe Garibaldi comandante in capo le forze nazionali in Sicilia. Sull’invito de’ notabili cittadini e sulle deliberazioni dei comuni liberi dell’Isola. Considerando che in tempo di guerra è necessario che i poteri civili e militari sieno concentrati in un solo uomo. Decreta di assumere nel nome di Vittorio Emmanuele Re d’Italia la Dittatura in Sicilia. Salemi 14 Maggio 1860. G. GARIBALDI. Il Segretario di Stato F. Crispi». Nella stessa circostanza Garibaldi piantò sulla cima della torre cilindrica del castello Normanno-Svevo la bandiera tricolore proclamando Salemi la prima capitale d'Italia.
A distanza di tempo voglio ritornare sull’argomento per chiarire e ribadire, qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, che quella compiuta da Garibaldi fu una buffonata, come lo fu l’impresa dei Mille e l’assunzione di un atto illegale falso, come il dichiararsi dittatore del Regno delle Due Sicilie in nome di “Vittorio Emanuele re d’Italia”, ma allora non esisteva ancora l’Italia e Vittorio Emanuele era un semplice re della Sardegna, come poteva assumersi l’autorità di parlare di due realtà inesistenti? Perché i salemitani se ne cullarono e sono tuttora orgogliosi di un atto illegittimo? Fu certamente un’esigenza storica di rivestire un ruolo ufficiale e politico per “legittimare” l’azione che Garibaldi si accingeva a compiere e giustificare il passo militare che Casa Savoia stava compiendo, ma i salemitani perché non si rendono conto della strumentalizzazione che se ne fece dell’Amministrazione comunale (assumendo un ruolo legislativo a essa non pertinente) e continuano, piuttosto, a voler essere ciechi nonostante l’evidenza storica?
La storia non si fa con le bugie, né tantomeno con i favoritismi, come nel caso specifico, per essere devoti alla monarchia. Sol perché a Salemi “non babbiamo!”, furono intitolati dal Sindaco Lampiasi delle strade ai vincitori (cfr. Lettera del 20 dicembre 1889 a Francesco Crispi): Via Conte Umberto, G. Garibaldi, Corso dei Mille, Discesa Duca degli Abruzzi, Via F. Crispi. Salemi ha avuto i suoi eroi, degni di essere ricordati, che ci rendono tuttora gloriosi e ci inorgogliscono! Chi ha distrutto il Meridione e la Sicilia in particolare, impossessandosi dei suoi beni e delle “opere” esistenti, sfruttando, opprimendo e illudendo i suoi abitanti, non merita alcuna memoria.
In una lettera inviata il 15 dicembre 1889 dall’On. Francesco Crispi, Presidente del Consiglio dei Ministri all’avv. Giuseppe Lampiasi, allora Sindaco di Salemi, con la quale comunicava che il Parlamento aveva approvato la proposta della Casa Reale di nominare, a tutti gli effetti, Umberto Maria Vittorio Amedeo Giuseppe, nato a Torino il 22 giugno 1889, “Conte di Salemi”, nel P.S. della stessa aggiungeva: «In realtà Garibaldi con quel proclama, ha bleffato, ha voluto infiammare gli animi increduli e diffidenti; quella di Salemi è stata solo una sosta, in quel momento non esisteva nessuna Italia né Garibaldi era sicuro della vittoria di Calatafimi. E poi, quella mattina del 14 maggio il Generale decretò di assumere la Dittatura nel nome di Vittorio Emanuele che in quel momento non era Re d’Italia, come dichiarato e scritto nel Documento Ufficiale ancor oggi da voi gelosamente custodito, che vi inorgoglisce, ma soltanto un misero Re di Sardegna; la nascita del “Regno d’Italia”, infatti, porta la data del 17 marzo 1861. Quella mattina del 14 maggio Garibaldi babbiò!»
Lo stesso Giuseppe Mazzini scriverà: «Avete veduto come Garibaldi si è nominato da se stesso “Dittatore” in nome di Vittorio Emanuele? Non è bello né generoso da parte di uno che viene per aiutare!» (G. E. Curatolo, Il dissidio fra Mazzini e Garibaldi, Mondadori, Milano 1928, pag. 210.).
Scrive ancora Giuseppe Scianò: «“Salemi prima capitale d’Italia” è una baggianata degna, in tutto e per tutto, dell’impresa dei mille e dell’Italia che allora non esisteva (ammesso che oggi esista…)».
Come mai si parla poco del ruolo e delle responsabilità degli Inglesi, della massoneria internazionale, italiana e locale? Come mai si tace sul ruolo che ebbe la mafia di allora? E non si parla mai delle condizioni economiche di Casa Savoia, bisognosa, dopo una serie d’interventi militari, di proventi per impinguare le sue casse? Dovremmo imparare a riprendere la storia, riscriverla, correggendo tutti gli errori che volutamente sono stati fatti per renderla trasparente. Onore a chi si è sacrificato in questo lungo periodo per il bene dei suoi abitanti e non a chi ha voluto annettersi con falsi pretesti un territorio ben avviato, in nome di una unità che tutt’oggi cammina a due marce su binari diseguali!
Salvatore Agueci