Questo pomeriggio alle ore 18.30, al Complesso Monumentale San Pietro di Marsala, Massimo Bray presenta il suo nuovo saggio Alla voce Cultura. Diario sospeso della mia esperienza di Ministro (Manni Editori). Con l’autore conversa Francesco Giambrone, sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo. L’evento, realizzato in collaborazione con l’History & Politcs Summer School, sarà un’anteprima della quarta edizione del festival 38° parallelo – tra libri e cantine.
Per anticipare alcuni temi della conversazione di oggi, abbiamo chiesto a Francesco Giambrone di parlarci dell’impegno culturale del Teatro Massimo in questi tempi di crisi. Per capire se esiste o no una exit strategy.
Vorrei cominciare chiedendole come avete superato i mesi di lockdown e quanto è stato difficile ripartire.
Siamo usciti fuori dal lockdown pieni di incertezze, non riusciamo a programmare con serenità, non abbiamo un orizzonte temporale chiaro. Sappiamo che la situazione è questa: al Teatro Massimo non possiamo fare entrare più di duecento spettatori e dobbiamo rispettare tutte le regole di distanziamento e l’uso delle mascherine. Norme che stiamo seguendo, ma che rendono molto complicata la nostra attività, perché a teatro il contatto è indispensabile sia da parte del pubblico sia da parte di chi suona, di chi canta, di chi balla. Però stiamo cercando di reagire, facendo di necessità virtù. Stiamo provando a ricostruire nuove certezze per fondare la ripartenza. Vi faccio un esempio: ci siamo inventati un balletto in cui i danzatori stavano tutti a distanza di un metro, in modo da poterlo mettere in scena in questa fase così complicata
A luglio avete inaugurato il vostro nuovo festival, Sotto una nuova luce. Qual è stata la risposta del pubblico?
Direi che è andata molto bene, abbiamo avuto il sold out quasi tutte le sere. Ovviamente parliamo di numeri piccoli, perché quelli sono i numeri consentiti in questo momento. Dopo una fase iniziale in cui il pubblico sembrava un po’ diffidente e un po’ impaurito dall’idea di tornare in teatro, adesso devo dire che da quando siamo andati all’aperto, al Teatro di Verdura, ha cambiato molto atteggiamento. Abbiamo avuto spettacoli importanti, con artisti di livello internazionale: Anna Netrebko, Omer Meir Wellber. Abbiamo avuto un’estate ricca, ricominciamo a metà settembre, all’interno del Teatro Massimo, al chiuso, e navighiamo a vista. Che è la complicazione di questo momento, ma è anche l’elemento di curiosità che ci permette di cambiare continuamente e provare a adeguarci a quello che succede attorno a noi.
Prima diceva che il Teatro Massimo adesso può accogliere soltanto duecento spettatori. Mi chiedo: con questi numeri il teatro può sopravvivere?
No, il teatro non può sopravvivere con questi numeri. Questa la consideriamo una fase di emergenza in cui ci siamo impegnati a riaprire, noi del Teatro Massimo come tutti gli altri grandi teatri italiani, perché abbiamo ritenuto di dovere essere un pezzo della ripartenza dell’intero Paese. E un Paese non può ripartire, se non riparte anche la cultura. Noi stiamo provando a fare la nostra parte, però, lo accennavo prima, è chiaro che la nostra è un’attività rischiosa, perché il teatro per sua natura determina degli assembramenti, quindi c’è un rischio legato alla salute pubblica e alla necessità di adattarci a tutti i protocolli di sicurezza che sono protocolli complicati da seguire. Se suoni il flauto, non puoi avere la mascherina, se canti l’Opera, non puoi avere la mascherina. Inoltre, oggi andare in scena è una scelta assolutamente antieconomica.
Potremmo soffermarci sull’aggettivo “antieconomico”: cosa significa per il Teatro Massimo?
I ricavi propri sono completamente finiti. Pensate che il Teatro Massimo, con la situazione che s’è determinata, su 30 milioni di euro complessivi di bilancio, perde circa 6 milioni di ricavi propri. Una scelta fortemente antieconomica, ma è una scommessa che stiamo facendo, siamo in contatto col governo nazionale, siamo convinti che il governo interverrà anche a sostegno dei teatri d’opera com’è intervenuto a sostegno del mondo dello spettacolo e della cultura.
Avete mai pensato di non riaprire?
È chiaro che se dovessimo fare un ragionamento strettamente aziendale ed economico, le attività non dovrebbero ripartire. Nei paesi più liberisti in cui i teatri si reggono meno sul finanziamento pubblico, come l’Inghilterra e l’America, i teatri restano chiusi. Il Covent Garden riapre a gennaio del 2021, il Metropolitan di New York apre a gennaio del 2021, l’Opéra di Parigi riapre a gennaio del 2021. L’Italia si sta comportando in modo diverso, perché siamo sostenuti dalla mano pubblica e perché abbiamo ritenuto di doverci assumere questa responsabilità culturale.
Le difficoltà legate alle norme anti-Covid non vi hanno fermato dal presentare vostre nuove produzioni. Ce ne può parlare?
Stiamo cercando di fare in modo che questa situazione alla fine ci permetta di fare delle cose nuove, delle cose diverse. Abbiamo messo da parte la vecchia programmazione, ne abbiamo inventato una nuova. Infatti, non abbiamo più la stagione, ma abbiamo un festival, che definiamo “liquido”, che è iniziato il 4 luglio, ma non sappiamo quando finirà. Va avanti fino a quando la crisi del Coronavirus va avanti. Darci una dimensione diversa significava fare cose nuove: simbolicamente riaprire il 4 luglio con una commissione a un compositore contemporaneo, Ella Milch-Sheriff, ci è sembrato un evento significativo: una musica nuova, commissionata appositamente per il Teatro, una musica che dialoga con il presente.
Un altro aspetto significativo è l’evoluzione tecnologica del Teatro Massimo. Appena cominciato il lockdown, avete subito offerto gratuitamente sulla vostra piattaforma video un’incredibile selezione di opere.
Per fortuna, ci siamo fatti trovare pronti. Non che potessimo mai immaginare quello che è accaduto, ma ci siamo fatti trovare pronti perché abbiamo una Web TV dal 2015 e quindi dal 2015 lavoravamo sullo streaming di tutte le nostre produzioni. Abbiamo progressivamente negli anni aumentato la dotazione tecnologica, oggi operiamo con nove telecamere in alta definizione. Eravamo attrezzati. Eravamo nelle condizioni di poter trasmettere tutto il nostro archivio di produzioni registrate in alta definizione e abbiamo trasmesso ogni giorno raggiungendo centomila spettatori. Centomila spettatori significano circa milleduecento spettatori al giorno, il che vuol dire un sold out al giorno, dal momento che il nostro teatro ha una capienza di milleduecento posti. A parte lo scherzo, sono tante persone, era importante essere pronti. L’impegno tecnologico avrà sempre più un ulteriore sviluppo e lo avrà sempre di più perché è il futuro, è la strada che dobbiamo seguire.
E adesso, quali sono i prossimi passi?
Abbiamo rafforzato le collaborazioni, lo spettacolo per la riapertura del 4 luglio l’abbiamo trasmesso sul canale ARTE. Poi abbiamo stretto rapporti con Google e YouTube, che ci finanziano per acquistare nuove strutture per innovare ancora di più il teatro, e che trasmetteranno le nostre produzioni. Sarà la strada che andrà battuta nei prossimi anni. Una precisazione: questo non è in alcun modo l’espediente attraverso cui il digitale sostituisce lo spettacolo dal vivo. Lo spettacolo dal vivo è quello che abbiamo sempre fatto e che continueremo a fare, ma il digitale è uno straordinario alleato che ci permette di amplificare la nostra attività, che naturalmente si svolge col pubblico presente, e dal vivo.
Mi piacerebbe concludere la nostra conversazione con una sua considerazione sul futuro delle politiche culturali in Italia. Quale ruolo rivestiranno, quale dovrebbero rivestire?
Non avendo certezze e navigando a vista, ci siamo dati noi uno scenario, un nostro orizzonte temporale, programmando fino a dicembre in questo “assetto Covid”. E poi augurandoci che da gennaio si possa tornare alla normalità. Se sarà così lo vedremo, quel che è certo è che il teatro resta aperto, che continua a fare una proposta diversa, a leggere il tempo che stiamo attraversando, a mantenere la sua funzione primaria: essere un luogo in cui la gente si ritrova, e fa una riflessione, condivide delle emozioni. Penso che questa pandemia alla fine debba ancora di più rafforzare il ruolo degli spazi pubblici di condivisione di pensieri e di valori. A settembre faremo la Messa dell’Incoronazione di Mozart e Un sopravvissuto di Varsavia di Arnold Schönberg. Un sopravvissuto di Varsavia racconta l’orrore della Shoah, l’abbiamo accostato a un pezzo di grande spiritualità di Mozart come la Messa. Continuiamo a portare avanti il nostro mestiere: raccontare delle storie, trasmettere dei valori, fare in modo che una comunità si ritrovi sempre in uno spazio, lo spazio del teatro. Tanto più in questo momento di smarrimento.
[la foto di Francesco Giambrone in evidenza è di Rosellina Garbo]