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06/09/2020 19:30:00

La solitudine della mente in Arthur Danto

 Mai l’Arte è stata acefala. Dalle grezze pitture di Altamira agli incerti graffiti delle grotte dell’ Addaura emergono testimonianze, simbologie, trasmissione di saperi. Memorabile operazione mentale che fa la spola fra elementi ottici, geometrici, prospettici, risulta la qualità di lavoro di Leonardo. Ancora più esplicito è il disegno di Bruno Caruso “La mano dell’artista”, tratto dalla pungente “Mitologia dell’arte moderna” dello stesso, dove la mente coincide con una duttilità manuale così affinata, quanto creativa, da non ingannare l’osservatore e non sporcare il perimetro di applicazione.

Un’opera d’arte è perciò frutto di ragione come si legge nell’articolo “Un’opera d’arte è per la mente, soprattutto” di Gianfranco Perriera del 3 Agosto, al commento del libro “Arte e Poststoria”.

Arthur Danto, protagonista del libro e analista di punta dell’arte contemporanea statunitense, prende atto che il successo della stella della pop art, A. Warhol, derivò non dal chiedersi principalmente cos’è l’arte e con quali mezzi si raggiunge, ma dall’avere ideato il doppione fotoriprodotto di un oggetto usa e getta, o di un soggetto acclamato dalle masse, per incassare profitti a buon mercato.

In nome di una libertà totale, anche a rischio di diventare arbitraria e velleitaria, prima abbreviò procedimenti tipici poi asfaltò, mediante la copia delle cose, secoli di appassionate sperimentazioni, di accurate tecniche e ricerche a tutto campo.

Indifferente all’artista che lavora a memoria, elaborando il già visto e sulle ceneri inventa con un umile pennello forme, aneliti, immagini, che superano la realtà di fatto, così avviene in “Guernica”, Warhol rimane comunque ostaggio del reale. Ci si chiede: a che vale un mirato, se non scientifico, sostegno pubblicitario? Crea o è creato? C’è differenza fra l’uomo e la scimmia? E’ casuale che, nel periodo del dopoguerra, la nuova figurazione europea e quel che fu l’originale, per tecniche e tematiche, movimento pittorico de “Il pro e il contro” siano stati emarginati? 

Figlio di un modello di società insofferente al solo primato economico, e politico, in un mondo diviso in sfere di condizionamento, assurge a icona dell’arte mondiale, dopo il disinvolto modo di fare pittura di J. Pollock, quando nel 1950 - se la Storia ha ancora un senso - il Congresso delle Arti a Berlino legittima le nuove tendenze provenienti dalle sponde dell’Atlantico.

Se non mistificante, non convince l’altro caposaldo del Dantopensiero secondo cui la bellezza non è più l’orizzonte dell’Arte… sembra l’”audacia” del coccodrillo.

E’ la varietà di concetti di significati di riflessioni che l’oggetto d’arte, tout court, noncurante dei richiami visivi a insinuarsi nella mente di chi osserva con asettica accettazione. Ma svalutare la forma, vanificando la presenza delle cose a costo di ricavarne surrogati, non è come separare a colpi di rasoio encefalo e mesencefalo?

In tal caso la solitudine della mente è assicurata.

A meno che questa fiammata di razionalismo non sia funzionale a un’umanità ormai frammentata.

Peppe Sciabica