Questo pomeriggio si chiude la quarta edizione del festival letterario 38° parallelo – tra libri e cantine. L’ultima conversazione, incentrata sul tema delle periferie, prende il titolo di «Provincia non periferia e paesaggi scartati».
La conversazione partirà dal saggio di Paolo Manfredi «Provincia non periferia. Innovare le diversità italiane» (Egea), per accendere un dibattito in cui interverranno Carmelo Nigrelli e Filippo Parrino.
L’evento sarà ospitato dal Parco archeologico di Marsala, al Baglio Tumbarello, e comincerà alle 18.30.
Abbiamo chiesto a Paolo Manfredi di anticiparci alcune riflessioni dell’appuntamento di oggi.
Di cosa soffrono le province italiane?
La provincia italiana soffre di un processo di “periferizzazione”, cioè di perdita di autonomia culturale ed economica. In tutto l’Occidente, le determinanti del valore (capacità tecnologica, competenze manageriali, creatività) sono sempre più immateriali e legate alle persone più che ai luoghi e alle risorse fisiche. I portatori del valore e della conoscenza tendono a concentrarsi dove trovano propri simili e opportunità di lavoro e di vita particolarmente allettanti. Queste condizioni sono presenti in massimo grado nelle città, e ancor più nelle metropoli. Per questo viviamo secondo l’ONU nel “Secolo delle città”: già oggi gli abitanti delle città hanno superato nel mondo gli abitanti delle campagne e nel 2050 l’85% della popolazione mondiale vivrà in città. Questo versamento di risorse determina ovunque la crisi della provincia. Questa è più forte e più gravida di conseguenze negative laddove la provincia ha avuto un peso economico e culturale particolarmente forte e dove ha contribuito in modo essenziale a definire l’identità del paese e la sua immagine esterna. È il caso dell’Italia.
Come dovremmo intervenire efficacemente per sanare questo dialogo interrotto tra metropoli e province?
Non bisogna pensare di competere con le metropoli, ma di investire sulla modernizzazione della provincia per quello che è e che può offrire. Questo significa innanzitutto investire sul lavoro e sul fare, diventare territori che creano opportunità invece di bruciarle. Opportunità che sono in primis legate all’identità del territorio, a quello che è in grado di offrire per trattenere o richiamare giovani e abitanti. L’identità deve però fare i conti con la modernizzazione e saper dare del tu alla tecnologia e lasciare spazio a (e contribuire a creare) capitale umano qualificato e che abbia voglia di misurarsi con questi processi di “modernizzazione identitaria”. Per questo il dialogo con le metropoli deve essere reso costante e bidirezionale. I territori della provincia devono identificare quelle competenze chiave che risiedono nelle metropoli e creare delle connessioni. Questo significa che le imprese locali, ma anche chi vuole svolgere attività culturali o di rilevanza sociale per la comunità, devono poter accedere a queste risorse (penso alla tecnologia, alla finanza, al marketing, alla comunicazione). Compito del governo del territorio (anch’esso in crisi per mancanza di rappresentatività sia politica che economica) è tirare questi fili, anche creativamente, ad esempio riconnettendosi con chi ha lasciato il territorio per una carriera metropolitana e potrebbe essere ricoinvolto in progetti stimolanti di sviluppo.
Città-acceleratore: cosa sono? Perché ci servono per pensare un futuro diverso?
Anche le città non possono più limitarsi a drenare risorse e a competere tra loro. Scriveva Fernand Braudel che “Non esiste città ricca senza campagna florida”. Pensava al Medioevo ma l’adagio vale ancora, a maggior ragione in questa fase di incertezza. Se pensiamo all’Italia, Milano, che nonostante i recenti problemi è l’unica metropoli italiana in grado di competere a livello globale (sebbene da una posizione debole, perché è troppo piccola per competere con i giganti) non può non porsi il problema della crisi dei territori che le stanno attorno, ma anche di quelli più lontani. Essere il traino di un paese in crisi è faticoso, ancora di più se la crisi intacca quel potenziale di immaginario che ha fatto la fortuna di tutto il paese, immaginario che è prevalentemente nato in provincia. Essere città acceleratore vuol dire allora porsi il problema di organizzare i processi di modernizzazione del resto del paese, aprendo le porte a chi vuole venire a capire, studiare, provare. Purché questo bagaglio di conoscenza sia riportato sul territorio d’origine.