di Marco Marino
Nonostante i corridoi, le stanze e i colori delle pareti rimangano sempre gli stessi, quando al Convento del Carmine di Marsala arrivano le opere di una nuova mostra è come se tutti gli spazi della pinacoteca assumessero un aspetto inedito, quasi irriconoscibile. Ogni anno questa metamorfosi - insieme sensoriale e architettonica - permette alla punta estrema della Sicilia occidentale di confrontarsi con i maggiori artisti dell’arte contemporanea, e il merito è dell’Ente Mostra di Pittura e del suo direttore artistico Sergio Troisi.
Lo troviamo indaffarato, il professor Troisi, mentre dispone i quadri della mostra Carla Accardi - Antonio Sanfilippo. L’avventura del segno, di cui è curatore, e che verrà inaugurata esattamente tra una settimana, il 26 settembre. Ad aiutarlo lo staff dell’Ente Mostra e l’imprescindibile figura di Francesco Impellizzeri, storico collaboratore di Carla Accardi e oggi membro del comitato scientifico dell’Archivio Accardi-Sanfilippo.
Riusciamo però a farci dare alcune anticipazioni sull’esposizione che si attende come una delle più interessanti, e affascinanti, nella ricca storia delle rassegne d’arte della città. E anche a rubare qualche scatto del lavoro certosino di allestimento.
Professor Troisi, quale sarà il percorso della mostra? Che periodi della produzione di Accardi e Sanfilippo comprenderà?
La mostra copre un arco di tempo che va dagli esordi di Sanfilippo e Accardi, alla fine degli anni Quaranta, e arriva agli anni Settanta. La scelta di questa cronologia è presto spiegata: Sanfilippo smette di dipingere nel ‘71, completamente, si chiude in una sorta di silenzio, senza altra attività espositiva. E morirà nel 1980 per i postumi di un incidente stradale. Siccome la logica della mostra è quella di mettere strettamente a confronto le opere dei due artisti, mi è sembrato corretto smettere questo parallelismo quando Sanfilippo cessa di dipingere.
La mostra, allora, procede per un gioco continuo di incroci.
L’idea della mostra è individuare delle tangenze e delle influenze reciproche nella loro ricerca, non soltanto negli anni Quaranta, ma anche per tutti gli anni Cinquanta, e persino negli anni Sessanta quando i loro due percorsi si allontanano l’uno dall’altro. Accardi e Sanfilippo hanno condiviso un tratto importante di vita in comune: se l’uno osservava il lavoro dell’altra, e viceversa, era invitabile questa influenza reciproca. Anche se poi ognuno ha le sue specifiche caratteristiche di linguaggio e di ricerca. Questa idea di mettere a confronto i loro due percorsi, può sembrare strano, ma non è mai stato fatta, è un aspetto che tengo a sottolineare. È la prima volta che si fa una mostra di Carla Accardi e Antonio Sanfilippo: chiaramente avevano esposto altre volte assieme, spesso in mostre legate al gruppo Forma, ma è la prima volta che il loro percorso artistico viene analizzato alla luce della loro reciproca influenza.
Può anticiparci qualcosa di questo percorso di reciproche influenze, tra consonanze e dissonanze?
Le consonanze riguardano il segno, che poi è quello che dà il titolo alla mostra, L’avventura del segno: la ricerca sul segno è uno dei grandi temi della pittura internazionale a partire dagli anni Cinquanta, un elemento basico, primordiale, su cui costruire una nuova grammatica.
Quando arrivano al segno?
Entrambi approdano al segno intorno al 1953-1954 e poi questa idea del segno si differenzia: è in qualche modo più strutturato in Accardi, cioè più legato a una componente di meccanismo di aggregazione, in cui il segno diventa un aspetto insieme biomorfo e maccanomorfo; in Sanfilippo la stesura è più sciolta, più libera. Per entrambi è stato anche proposto un accostamento all’arte informale, una lettura probabilmente più vicina a Sanfilippo, soprattutto nelle opere dalla fine degli anni Cinquanta, quando questa pennellata a virgola, che invade tutta la superficie, acquista anche una dimensione più ansiosa e vorticante. In Accardi quella che viene privilegiata è una componente di opposizione binaria, siamo nel ‘54-’55, e rimarrà coerente con questa scelta per alcuni anni: le sue opere vengono scandite dall’opposizione binaria del bianco e del nero, anzi Accardi direbbe “del bianco sul nero e non viceversa” perché altrimenti sarebbe assimilabile alla scrittura. Questa idea di opposizione binaria poi verrà ulteriormente approfondita con l’uso del colore soprattutto nel passaggio dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta.
Spesso è stata proposta una lettura isolana, siciliana, per le loro opere. Quanto è effettivamente attendibile questo tipo di interpretazione?
È vero, è un aspetto che spesso è stato sottolineato. Il tema è complesso. Per esempio, è stato rilevato, e la stessa Accardi lo ha poi ammesso, come quell’opposizione del bianco e nero probabilmente portasse con sé la memoria delle saline del trapanese. Accardi era di Trapani, la famiglia era proprietaria di una salina. Quindi la luce accecante del sale sarebbe alla base di questa visione così nettamente contrastata. Allo stesso modo, per Sanfilippo questa componente di tasselli di colore è stata accostata addirittura al carretto siciliano. Secondo me, è una forzatura che lascia il tempo che trova. Io non forzerei più di tanto questa interpretazione isolana: è ovvio che tutt’e due fanno parte di una geografia e di una storia, ma leggere la loro opera alla luce di questa dimensione, sarebbe fare torto alla caratura internazionale della loro ricerca.