di Marco Marino
Continua il nostro speciale dedicato alla mostra Carla Accardi – Antonio Sanfilippo. L’avventura del segno, che verrà inaugurata il 26 settembre al Convento del Carmine di Marsala.
Quest’oggi conversiamo con Antonella Sanfilippo, presidente dell’Archivio Accardi-Sanfilippo e figlia dei due artisti, provando a profilare un loro ritratto profondo e sincero.
Con la mostra L'avventura del segno Carla Accardi e Antonio Sanfilippo tornano nella loro provincia d’origine (Accardi era di Trapani, Sanfilippo di Partanna). Per i loro lavori molti hanno parlato di influenze siciliane: i colori delle saline, dei carretti. Lei crede che questa influenza ci sia, sia evidente, oppure che limiti la comprensione della loro ricerca artistica?
Propendo per la seconda ipotesi. Erano giovanissimi quando sono andati via dalla Sicilia: hanno vissuto parecchio tempo a Firenze, poi si sono stabiliti a Roma e nel frattempo viaggiavano moltissimo. Andare a Parigi alla fine degli anni Quaranta fu fondamentale, perché videro tutta l’arte che il Fascismo aveva loro precluso. Non conoscevano nessuno degli importantissimi artisti europei, e quindi subito desiderarono impossessarsi dei loro nuovi stili. In seguito, cominciarono addirittura dei veri e propri scambi, loro andavano all’estero e artisti stranieri venivano a Roma: erano anni di grande fermento.
A quali artisti si sentivano più legati?
Mia madre mi ha sempre detto che amava moltissimo l’opera di Henri Matisse. Ma in verità apprezzava tutti gli artisti francesi, che si staccavano nettamente dalla pittura italiana rimasta ferma a un’impronta figurativa. Le dicevo del loro desiderio di conoscere quell’arte che era stata loro preclusa durante il Fascismo: la pittura astratta in Italia non si era mai vista, portarla nel loro Paese significava permettergli un passo in avanti verso il futuro.
Per anni lavorarono nella stessa casa, a Via del Babuino. Com’era vederli lavorare insieme, parlare di arte?
A casa avevano due spazi molto diversi, non lavoravano mai troppo vicini: mia madre stava di sopra, nella parte della casa vicina alla terrazza. Mio padre lavorava al pianterreno; però, dopo qualche tempo, si è reso indipendente e ha preso uno studio a via del Vantaggio. Fin da piccola notavo che tra di loro non parlavano di arte, davanti a me non li ho mai sentiti. Se succedeva, era per grandi eventi cui partecipavano, ma sempre molto discretamente. Nessuno entrava nella sfera dell’altro, anche se avevano gli stessi interessi e gli stessi amici.
Tra di loro c’è stata un’influenza reciproca, una contaminazione di visione o di stile?
C’è stata, c’è stata sicuramente. Però la tenevano sotto controllo, entrambi volevano proseguire un personalissimo percorso. In certi anni erano più vicini nelle opere, ma poi si sono distaccati del tutto. Erano della stessa generazione, subivano gli stessi stimoli, le stesse fascinazioni, eppure cercavano di differenziarsi. Lo dicevano anche loro: la vicinanza, se c’era, sorgeva per caso, non era voluta.
Nel ’71 Antonio Sanfilippo rallenta la sua attività pittorica, smette di esporre. Vorrei chiederle se si è data una spiegazione di questo suo silenzio artistico.
Io mi sono data questa spiegazione. All’inizio degli anni Settanta il mondo dell'arte si trova a misurarsi con esperienze sempre più nuove e complesse. Da una parte, c’era stata l’esplosione della Pop Art dall'America; dall’altra, in Italia, l’arrivo dell’Arte Povera: entrambe le esperienze erano completamente diverse dalla pittura di mio padre. E quindi penso che si sia voluto dare un periodo per fermarsi e riflettere su questi fenomeni. Un periodo lungo, certo. Ma non aveva smesso di occuparsi di arte: l’arte era ciò che lo appassionava di più, sempre; ho trovato moltissimi disegni, schizzi, bozzetti, testimonianze del fatto che non si era affatto fermato, anche negli anni in cui non esponeva. Ho fatto conoscere questi lavori alla critica, restano un momento molto interessante della sua produzione.
Invece Carla Accardi trova subito nuovi stimoli.
Mia madre era molto propensa al cambiamento, a fare nuove esperienze. Prima di tutto c’è stato il sicofoil: la pittura sulla tela non c’era più, era diventata una cosa del tutto diversa, la sua opera si concentrava sullo studio della trasparenza. Pensiamo alle sue tende, lavori lontanissimi dall’esperienza pittorica, dalla stabilità della tela. Eppure, a un certo punto, la pittura è tornata. C’è stata la parentesi molto lunga del sicofoil, la sperimentazione di nuove forme, e poi è tornata la pittura.
Quali sono i prossimi progetti dell’Archivio Accardi-Sanfilippo?
L’Archivio ha innanzitutto una grande attività di autenticazione dei quadri di Accardi e Sanfilippo che ci impegna molto. Per quanto riguarda le mostre, dopo quella di Marsala, a Milano ci sarà una mostra su mia madre. Dalla sua morte non siamo riusciti ad avere una mostra in un museo. Quando a Milano il Museo del Novecento ha dichiarato la sua disponibilità, ciò mi ha reso davvero felice. Sarà una mostra molto grande, con tanti documenti e testimonianze.
Potrebbe lasciarci un ricordo dei suoi genitori?
Da piccola, quando i miei genitori si separarono, vedevo poco mio padre, e mi mancava molto. Allora, capitava che lui mi dicesse, vieni, andiamo a vedere questa mostra a Bologna, o alla Biennale di Venezia. E tra i ricordi cui sono più legata, ci sono questi viaggi con lui: erano molto felici, ci permettevano di stare molto tempo insieme e di vedere cose incredibili. Mi divertivo molto. Questi viaggi per musei li facevo sia con mio padre sia con mia madre. Ricordo nel ’64, alla Biennale, la sala dedicata alla Pop Art - quell’anno anche mia madre esponeva - avrò avuto tredici anni, non ci capivo molto, ma era tutto molto affascinante. Ecco, se dovessi dire dei miei ricordi più belli, sarebbero quei ricordi legati ai viaggi e all’arte.
[Le foto sono riprese dal sito dell'Archivio Accardi-Sanfilippo]