Chi prende il reddito di cittadinanza trova spesso anche un lavoro. In nero, però. E così ha un doppio guadagno, truffando lo Stato e le persone oneste. Capita spesso di conoscere persone che prendono il reddito di cittadinanza e poi fanno lavori in nero, e non hanno interesse a mettersi in regola per non perdere il sussidio.
E oggi un'inchiesta del Corriere della Sera fa il punto su questo effetto distorto della misura cara ai Cinque Stelle.
La cosa è talmente evidente che è cambiata anche la mentalità. Non si prende il reddito perché si è senza lavoro, ma si cerca lavoro (nero) perché si prende il reddito: e dunque ci si può mettere sul mercato a metà prezzo.
L’importo pro-capite medio mensile è oggi di 561 euro, al costo di 7,8 miliardi di euro l’anno.
Scrive il Corriere: "La verità è che resta un’ampia area grigia, attorno a questa bandiera dei Cinque Stelle. Non tanto sulla sua necessità nella lotta al disagio, più che reale, soprattutto in era Covid-19, quanto piuttosto sul suo nesso con il mondo del lavoro e le relative politiche attive, che pure ne sarebbero state all’origine parte costitutiva".
Il diciotto mesi di vigenza, il programma mostra tutte le pecche legate al modo frettoloso e ingenuo in cui è stato costruito: è un’istigazione al lavoro nero, per prendere allo stesso tempo sussidio e paga sottobanco, ed è anche un’istigazione alle truffe.
Eppure, l’assegno è stato revocato in tutt’Italia solo a 8.200 del milione e trecentomila famiglie beneficiarie. I controlli (spesso non draconiani) hanno svelato casi in cui la richiesta era stata fatta persino da detenuti, direttamente dal carcere (158 in Sardegna, con 548 mila euro revocati, 30 a San Severo nel Foggiano, per 200 mila euro).
Così un progetto immaginato per abolire la povertà rischia di distruggere ricchezza e produrre rancore e ingiustizia, se non viene ripensato.