Bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale è il reato contestato all’imprenditore trapanese Diego Favuzza, di 54 anni, ex amministratore unico della società a r.l. “L.i.m.a.”, Lavorazione Industriale Marmi ed affini con sede a Pizzolungo, dichiarata fallita l’1 dicembre 2014, con debiti per circa 3 milioni di euro.
Per l’imprenditore il processo è stato avviato davanti al Tribunale di Trapani con l’acquisizione della Cnr del Gruppo Trapani della Guardia di finanza. Il Tribunale ha deciso di acquisire agli atti del dibattimento la Cnr (relazione investigativa) senza ritenere necessario ascoltare in aula i militari che l’hanno redatta, e cioè il luogotenente Antonio Lubrano, ex responsabile della sezione di pg delle Fiamme Gialle della Procura di Marsala, e l’appuntato Paolo Oddo, in quanto il documento sul quale si basa il processo è stato ritenuto estremamente esauriente, preciso e completo in relazione alle varie contestazioni.
A Favuzza, che ha precedenti anche per furto di energia elettrica nella segheria del marmo, Guardia di finanza e Procura di Trapani contestano di aver tenuto le scritture contabili “in maniera da non permettere la reale ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della società fallita”.
E in particolare, “non consegnava al curatore fallimentare le scritture contabili nei termini di legge, consegnando, dopo numerosi solleciti, solo una documentazione parziale; ometteva la tenuta e comunque il deposito del libro cespiti che non consentiva una verifica della presenza di tutti i beni della società; depositava con grave ritardo il libro giornale del 2013, scritturato solo fino a luglio; a partire dall’1.8.2013 e sino alla data del fallimento non teneva né consegnava i libri contabili né alcun documento contabile; ometteva di registrare e di consegnare la documentazione relativa ai pagamenti dei canoni di affitto di azienda; non conservava né consegnava varie fatture attive e passive”. Ma soprattutto, sempre secondo l’accusa, avrebbe “distratto” beni (una pala cingolata) e denaro: quasi 45 mila euro quale “fittizio” rimborso di un prestito, compenso per l’amministratore e rimborso soci, nonché 30 mila euro quali somme che sarebbero state prelevate “in nero” dopo l’affitto della struttura aziendale alla società “CM Export” di Caterina Mazzara. E “poneva in essere operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento”, affittando l’azienda, con contratti “non registrati”, prima alla ditta La Commare Isidoro e poi alla CM Export, “privando così – sostiene l’accusa - la società di ogni capacità di fare fronte ai propri impegni economici, mantenendo al contempo rapporti occulti con le predette ditte, operando il prelevamento di somme in nero e facendo apparire come corrisposti canoni di affitto che in realtà venivano ritenuti compensati mediante prestazioni non fatturate e prive di valore economico”.