di Massimo Jevolella
Va di moda attaccare il governo – anzi, i governi, perché il fenomeno è internazionale – per i provvedimenti restrittivi anti-covid. Gruppi e masse di scalmanati, eccitati al sacro grido di “Libertà! Libertà!”, vanno a sbraitare nelle piazze accusando premier e ministri vari di voler eseguire un diabolico piano mondiale che avrebbe il fine di imbavagliare i popoli, con la scusa della pandemia, per costruire poi senza nessun ostacolo un nuovo ordine planetario fondato sulla dittatura della finanza e del pensiero unico tecnoscientifico. Insomma, un complotto universale dei poteri occulti (demo-pluto-massonico-giudaici, o che altro?) che ricorda terribilmente quello paventato cent'anni fa dal nazifascismo. Una stucchevole e preoccupante riedizione della follia più devastante della storia.
Negli ultimi giorni due personaggi, in Italia, si sono messi a capo di questa politica delirante. Due casi ben diversi tra loro, beninteso. Noiosissimo e scontato il primo, sorprendente e deplorevole il secondo. Cominciamo da quest'ultimo.
Il caso in questione ha nome Enrico Montesano. E a lui mi permetto di rivolgermi direttamente, dal momento che in tempi abbastanza recenti ho avuto il piacere di conoscerlo di persona, e di apprezzarne il garbo umano e l'acume intellettuale. Va poi detto, naturalmente, che lo considero anche come un attore tra i più genuini, grandi e divertenti che mai abbiano calcato le scene del teatro e del cinema italiano. Un mito, insomma. E non aggiungo altro per non essere sospettato di piaggeria.
Detto questo, però, nessuno può immaginare come mi siano cascate le braccia quando ho visto su internet la scena imbarazzante della sua clamorosa protesta in piazza a Roma, davanti a una coppia di poliziotti in borghese allibiti, che gli chiedevano soltanto di indossare la mascherina. Vorrei stendere un velo pietoso sull'episodio delle tue escandescenze, caro Enrico, e ti chiedo scusa se non ci riesco. So che tu vali molto, ma molto di più di quanto quelle immagini sciagurate abbiano potuto far sospettare a chi non ti conosce. E non ti voglio fare la predica, credimi. Non me lo permetterei mai, perché anche i bambini ormai hanno capito che la mascherina non è un attentato alle nostre libertà personali. Semplicemente, è l'unica arma efficace che abbiamo, per proteggere gli altri e proteggere noi stessi dagli svolazzamenti micidiali di questo carogna-virus che non ci vuole mollare, e che ora sta nuovamente minacciando di mettere in crisi il sistema sanitario nazionale.
E allora ecco, a questo punto mi viene oltremodo naturale spendere qualche altra riga sull'altro personaggio a cui poc'anzi accennavo. Costui si chiama Diego. Fusaro, ovviamente. Un nome, una garanzia. Con lui si va sul sicuro, perché le sue argomentazioni ultra-intellettual-pseudo-rivoluzionarie risuonano ormai da parecchi anni alle nostre povere orecchie con la stessa grazia malinconica dei ritornelli ossessivi di un disco rotto. Diego Fusaro! Mica uno stupido, perdinci. Purtroppo, però, il mio professore di lettere del liceo, di un tipo come lui avrebbe detto: “Un cervello gettato alle ortiche”. Ha letto milioni di libri, ha analizzato miliardi di pensieri, ma il succo di tutta la sua scienza s'è ristretto fino a un minuscolo condensato di una decina di parole, sempre le stesse, che in fondo hanno come oggetto la perversione di un'umanità oscurata e annientata dal “nichilismo della tecnoscienza al servizio del capitale”.
Sarebbe proprio questo nichilismo, secondo Fusaro, il vero motore ideologico che spinge i governi e i popoli ad affidarsi ciecamente nelle mani degli scienziati (in questo caso epidemiologi, virologi e affini), rinunciando alla propria libertà e sottomettendosi come greggi di pecore al piano mondialista dei soliti Poteri Occulti e bla-bla-bla. Il tutto, solo per ottenere la sopravvivenza fisica degli esseri umani, cancellando totalmente ogni altra loro aspirazione di natura intellettuale o spirituale. (L'ombra cupa di Heidegger e delle soluzioni finali aleggia intorno a questi tetri pensieri). E si toglie anche lo sfizio, il Fusaro, di tornare ad attaccare Papa Francesco – suo acerrimo nemico da sempre –, colpevole di avere accettato di serrare le chiese durante la fase acuta della pandemia. Era assai meglio, secondo il nostro filosofo eroicomico, permettere gli affollamenti alle messe domenicali, perché la morte delle anime è sempre più deprecabile della morte dei corpi.
Mi viene in mente allora un episodio della mia infanzia, che mi pare calzi a pennello con questa ridicola fissazione fusariana. Avevo nove anni e frequentavo le elementari in un istituto di suore a Milano. Un giorno il prete confessore ci fece una predica così forte e suggestiva, citando l'eroica morte di Domenico Savio, che quando all'ora di pranzo tornai a casa, caddi in ginocchio al fianco di mio padre, che stava già tagliandosi una bistecca a tavola, e levando lo sguardo al soffitto gridai: “La morte ma no il peccato!”. Mio padre, per tutta risposta, si girò senza esitare verso di me, e mi mollò uno scapaccione talmente forte che ancora me lo ricordo. Fu l'unico atto di violenza compiuto su di me da mio padre in tutta la sua vita. Ma rintronandomi il cervello me lo risvegliò, e ancora lo ringrazio per quello.