di Marco Marino
Prosegue oggi la nostra conversazione con Enrico Deaglio, autore di Patria 2010-2020 (Feltrinelli).
Ieri avevamo cominciato a parlare del contesto che nel nostro Paese ha portato Gaetano Murana a finire in galera e venire del tutto dimenticato. Ma chi è Gaetano Murana, la persona che lei definisce «l’uomo del decennio»?
Gaetano Murana è un uomo completamente innocente, che però ha due difetti molto gravi: non ha amici e non è ricco, anzi è un poveraccio, quindi non ha nessuno che lo difenda. Si è fatto diciotto anni di carcere, perché accusato da un falso pentito di aver partecipato alla strage di Borsellino. Un falso pentito, Vincenzo Scarantino, che tutti sapevano essere tale. La condanna di Murana, la sua detenzione, è avvenuta nonostante tutti sapessero. Tutti i magistrati lo sapevano, la polizia lo sapeva, la politica lo sapeva. Tutti l’hanno permesso, che un innocente stesse in carcere per diciotto anni. E quando è uscito non gli hanno neanche chiesto scusa. Perché la sua figura sarebbe diventata simbolica del loro fallimento e della loro bassezza. Mi piacerebbe che qualcuno ci spiegasse com’è potuto accedere una cosa del genere.
Anche perché è un caso che sappiamo non limitarsi a Gaetano Murana …
È successo recentemente un altro episodio di cui dovremmo parlare molto. Questo disprezzo per la verità, questo disprezzo per le persone povere, questa acquiescenza nei confronti del potere, hanno avuto un altro episodio enorme, che è avvenuto il 9 marzo, nel primo giorno di lockdown. Quel giorno ci furono delle rivolte nelle carceri, perché i detenuti e i familiari dei detenuti non erano protetti da nessuna misura di sicurezza contro l’epidemia. Allora cominciarono le rivolte, in particolare nel carcere di Modena. Le notizie erano veramente poche, sembra strano, sembra impossibile, ma stavolta le notizie erano pochissime. Venne detto che ci fu un morto, durante le proteste. Il giorno dopo si disse che erano due i morti, nel carcere di Modena. Tre giorni dopo venne detto che in totale i morti erano tredici.
Com’è stato possibile?
Solo con molta difficoltà si venne a sapere – “con ogni probabilità”, bisogna puntualizzare, perché non c’è stata alcuna inchiesta – che un gruppo di detenuti aveva fatto irruzione nell’infermeria del carcere e aveva scassinato un armadietto in cui era contenuto del metadone: si erano passati questa bottiglia di metadone a sorsate ed erano rimasti intossicati. Uno era morto e gli altri, pare, vennero presi ancora intossicati, e trasportati in altre carceri. Non vennero trasportati in ospedale; vennero trasportati in altri carceri, dove arrivarono morti. Sto parlando di una cosa che è successa in Italia, nel 2020, pochi mesi fa. Finora non c’è un’autopsia, non c’è una spiegazione, non c’è nessun colpevole, non si sa se queste persone siano state trasportate, in altri carceri distanti 200/300 chilometri, con ambulanze; non si sa se sia stata data loro un’assistenza medica. Se metto insieme il disprezzo per i poveri del caso Murana e le morti nel carcere di Modena, penso che uno dei principali problemi in Italia sia il modo in cui è amministrata la giustizia, il modo in cui in Italia le persone possono avere dei diritti garantiti o possono non averli. Questi sono due eventi simbolici di chiusura di questo decennio che non portano a nessuno ottimismo.
Perché eventi del genere possano avere luogo è necessario che qualcuno si occupi di organizzare la macchina del depistaggio. In Patria lei scrive che nel caso di Via d’Amelio, e indirettamente nella vita di Murana, in questa circostanza si profila la figura di Arnaldo La Barbera. Uomo delle istituzioni, responsabile delle indagini sugli attentati di Palermo, che avrebbe saputo da subito dell’inattendibilità di Scarantino e delle vere piste da seguire. Ma non smentì il pentito né tantomeno seguì quelle piste. Di nuovo ritorna la domanda di prima: com’è possibile? Perché? Riporto solo qualche riga del capitolo intitolato I funerali di Arnaldo La Barbera: «Be’, se la guardate da un altro lato, [Arnaldo La Barbera] ha permesso allo Stato di sopravvivere, ha protetto il buon nome dei nostri servizi segreti, ha evitato di coinvolgere in una storiaccia il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi appena eletto, e il genio che ha costruito il suo partito Forza Italia. Vi pare poco?».
È così. Credo che sia stato scelto per questo, Arnaldo La Barbera. Che tutta la sua inchiesta, come i suoi precedenti incarichi, siano stati estremamente loschi. Ha fatto la parte di quello che viene definito bad cop, "un cattivo poliziotto". Penso che tutta la vicenda del depistaggio su Via d’Amelio sia sorta fondamentalmente per proteggere la reale matrice delle stragi in Italia, la reale matrice dell’ondata di terrorismo che ci fu. La mafia siciliana ha avuto una parte importantissima, ma non è stata l’unica parte. L’altra parte, quella che da cinquant’anni continua a fare queste cose, è quel nucleo nero che esiste nelle istituzioni italiane, e non solo nelle istituzioni italiane, che è la cosa peggiore di questo nostro Paese.
Che ruolo hanno avuto gli intellettuali in questi ultimi dieci anni? Come hanno affrontato i problemi di cui ci sta parlando?
Si sono spesi poco. Ci sono state delle voci nobili, giornalisti che hanno parlato della criminalità al Sud, che hanno scritto delle condizioni dei braccianti agricoli in Calabria, ma non sono stati molti. Al di là di queste poche voci nobili, non mi sembra che gli intellettuali abbiano fatto granché: si sono molto ritirati in racconti perlopiù egoistici; di denuncia dello stato di cose che stiamo vivendo, io non ne ho visto molta. Neanche nel caso di alcune violazioni enormi come la chiusura dei porti agli immigrati, i decreti e le leggi speciali di Salvini, non c’è stata una grandissima opposizione.
Come quella che invece ci fu per Piazza Fontana. All'epoca l’intervento del mondo intellettuale fu dirompente.
Sì, tanto è vero che quel tipo di mobilitazione, quel tipo di coscienza continua ancora ad esserci: se pensiamo che dopo cinquant’anni ci sono ancora persone che ricercano la verità, che non l’hanno digerita, questo credo che ci faccia onore.
Nel decennio 2010-2020, qual è l’evento che si sarebbe aspettato e non è successo?
Mi aspettavo una maggiore inclusione e integrazione degli immigrati. E questo è stato il mio più grande rincrescimento, che questo Paese non sia stato in grado di rinnovarsi, di accogliere gli immigrati, di farli partecipare alla vita politica. Per il resto, tutto è abbastanza proceduto su di un piano inclinato. Non abbiamo incontrato un salvatore, non abbiamo avuto un’idea nuova. Ecco, l’idea nuova, secondo me, sarebbe stata quella di avviare una grande politica di inclusione dell’immigrazione che avrebbe fatto bene a tutti e sarebbe stata la nostra salvezza. Ma non l’abbiamo fatto.
Confidiamo nel prossimo decennio, allora.
Sì, confidiamo nel prossimo decennio.