Sono in navigazione con rotta verso Mazara del Vallo i 18 pescatori a bordo di Antartide e Medinea. Un viaggio molto lungo e faticoso, ma felice, che servirà a ripensare ai 108 giorni trascorsi da ostaggi in quelle carceri.
Ed ora che sono liberi si conosce la verità su come i pescatori, liberati dal governo del generale Haftar dopo l’incontro lampo in Libia del premier Conte e del ministro degli Esteri Di Maio, sono stati trattati: senza indumenti, con cibo scadente, senza shampoo e sapone per lavarsi. Sono loro stessi a raccontarlo.
Per compiere la traversata nel Canale di Sicilia i due motopesca, che viaggiano alla velocità dieci nodi all'ora, dovrebbero impiegare all'incirca 48 ore. L'arrivo a Mazara del Vallo, è previsto per domenica mattina.
I due pescherecci sono scortati dalla fregata Margottini della Marina Militare - impegnata nell'Operazione Nazionale Mare Sicuro- che li ha intercettati all'uscita delle acque territoriali libiche. La nave garantirà il transito in mare in sicurezza fino a Mazara del Vallo, dove l'arrivo è previsto per la mattina di Domenica. Lo si apprende dal ministero della Difesa.
Quattro carceri - “Abbiamo cambiato quattro carceri in condizioni sempre più difficili. Abbiamo subito delle umiliazioni, pressioni piscologiche, ma mai violenze“.. Così, il capitano della Medinea, Pietro Marrone, guarda indietro a quei mesi interminabili nelle carceri dell’uomo forte di Bengasi e ripercorre i momenti più difficili della prigionia.
Cibo in ciotole e al buio - “L’ultima cella, dove abbiamo trascorso la notte prima di avere la notizia della liberazione, era buia. Il cibo ci veniva portato in ciotole e non era buono. È stato davvero molto complicato, accendevano e spegnevano le luci a loro piacimento”, ha raccontato nel corso del primo contatto radio col suo armatore Marco Marrone.
Non credevano alla liberazione - "Sono venuti a prenderci e una guardia ci ha detto: 'Preparatevi che dobbiamo andare via'. La stessa cosa era già successo circa un mese fa, quindi nessuno di noi ormai ci credeva”. Il capitano della Medinea prosegue poi la sua ricostruzione della giornata: “Dopo l’annuncio che saremmo stati liberati ci siamo preparati. Abbiamo fatto la barba, ci siamo fatti prestare qualche bottiglia di shampoo, ci siamo lavati, ci hanno portato qualche tuta. Poi a bordo di un pullman ci hanno portato dalle nostre varcuzze (i pescherecci). Finalmente, dopo avere ricaricato le batterie, abbiamo acceso i motori e siamo partiti. Adesso non vediamo l’ora di tornare a casa”.
“Pensavamo di non farcela – ha aggiunto Marrone nel colloquio col suo armatore – sono stati tre mesi pesantissimi. Ci hanno fatto cambiare quattro prigioni. E una di queste su trova sottoterra, al buio. Ci passavano il cibo al buio da una grata e non sapevamo nemmeno cosa fosse”. La voce è provata ma ferma e si incrina solo quando l’armatore gli dice che la mamma del comandante, Rosetta Ingargiola, ha lottato fin dall’inizio, a 74 anni non ha mai mollato. A quel punto il capitano si emoziona, ma subito si riprende e continua il suo racconto: “Ci hanno trattato da terroristi – dice – mancavano solo le botte. Per il resto ci hanno umiliato, abbiamo subito violenza psicologica”. E ricorda che “non c’è stato alcun processo. Ci tenevano in una gabbia dopo averci divisi”. Sì perché i tunisini e gli italiani sono stati messi in prigioni diverse. “Ci siamo potuti riabbracciare solo dopo 70 giorni – dice – è stato un momento emozionante”.
Il primo pasto decente - “Solo dopo averci detto che sarebbe arrivato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ci hanno dato del cibo commestibile – racconta -, prima non sapevamo cosa mangiavamo. Terribile”. E poi racconta che non avevamo neppure il cambio dell’intimo. “Indossavamo sempre le stesse cose, è stato davvero difficile, non vedo l’ora di tornare a casa”.
Il vescovo Mogavero - I nostri pescatori erano prigionieri di Stato, sono stati trattati da ostaggi". Lo ha detto all'Adnkronos il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, parlando delle condizioni in cui sono state tenuti i 18 marittimi sequestrati per 108 giorni in Libia. "Era inevitabile – dice – che li trattassero in questo modo. Ma i pescatori sono persone che hanno una tempra importante e hanno superato ogni ostacolo".