La vicenda della maestra di Torino e le molte vittime che ogni giorno subiscono la violenza del Revenge porn ci avvertono sostanzialmente su due cose. Per parlare della prima farò un passo indietro nel tempo.
Siamo nel 1996 e finalmente la legge sullo stupro cambia: da reato contro la morale e il buon costume diviene reato contro la persona. È una svolta epocale, tenendo anche conto di come precedentemente lo stupro poteva essere riparato se la vittima avesse sposato il suo stupratore, salvando così l'onore. Una tale formulazione parlava chiaro: la persona offesa non era offesa in quanto soggetto violato nella sua libertà e autodeterminazione ma solo a latere, in quanto oggetto sul quale si era abbattuta la vergogna pubblica, turbando così il buon costume. Costume che, ricordiamo, prescriveva l'illibatezza della donna prima del matrimonio, pena il disonore. Anche nel caso di stupro, dunque, la donna che lo subiva si sporcava, si macchiava di disonore e della vergogna pubblica.
La legge che formulava la riparazione di una violenza sessuale tramite un matrimonio detto "riparatore" (544 del codice penale) e quella che considerava lo stupro un reato contro la morale, erano quindi leggi che avevano a cuore, in prima istanza, l'etichetta, la buona creanza, e solo come ultima la donna e la sua sofferenza fisica e psichica.
Come sappiamo, la prima donna a spezzare questa catena del matrimonio riparatore fu la siciliana Franca Viola. Rapita da Filippo Melodia con l'aiuto di dodici uomini, violentata, malmenata, lasciata a digiuno per otto infiniti giorni, si rifiutò -dopo la liberazione- di sposare il suo aguzzino e di "riparare" al disonore attraverso il matrimonio. "L'onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce" disse.
Quel no fece la storia, sebbene la legge sul matrimonio riparatore venne abrogata soltanto nel 1981 (12 anni dopo la condanna in Cassazione di Filippo Melodia) e solamente nel 1996 lo stupro verrà riconosciuto in Italia come un reato contro la persona e non più contro la morale, come detto poc'anzi.
Tutto ciò sembra avvertirci (e ammonirci) che: sebbene quelle leggi oggi ci sembrino così obsolete, bigotte e superate, se ne annusa ancora il lezzo nella persistenza di una certa cultura che animò la ratio di quelle leggi. Ciò che, infatti, sembra permanere è quel senso comune di una sorta di responsabilità della donna ogni qualvolta il reato lambisca la sfera del sesso e della sessualità. Dallo sminuire le violenze con il “se l'è cercata”, fino ad arrivare al nostro caso specifico del Revenge porn, dove si sposta l'attenzione dall'atto del reo all'azione della donna. La gravità non appartiene davvero al reato, ma all'uso che la donna ha fatto del sesso e della sua sessualità. Si è filmata mentre faceva sesso, sì è scattata delle foto nuda; ha, in altre parole, affermato il suo essere carne e sangue e questo sa di sporco, di vergogna, di malcostume.
E allora quelle categorie culturali - vergogna, costume, onore- sono ancora oggi drammaticamente vive. E agiscono con tutta la loro violenza a punire la vittima e qui, nel caso specifico, a punire la donna in quanto essere sessuato e sessuale, essere che come l'uomo gode della sua sessualità. Ciò è ancora tacitamente giudicato una vergogna, moralisticamente ammonito. La legge muta, ma quelle categorie producono ancora una violenza che fiacca e spesso ferisce a morte le donne sulle quali è piombata la vergogna pubblica. Questo mi conduce al secondo avvertimento di cui parlavo nell'incipit. E cioè che la scuola si è resa complice di una cultura da estirpare. Vediamo perché.
Nello scenario della vicenda di Torino, la preside dell'asilo ha “invitato a licenziarsi” la maestra, apostrofandola con parole di disgusto. Proprio perché la maestra non era intenzionata a dare le dimissioni, dagli ultimi riscontri emerge che la direttrice abbia incitato le altre insegnanti a indurre la maestra a fare qualcosa di sbagliato, trovando così dei pretesti per mandarla via. Trattarla come un problema di cui sbarazzarsi - anziché come una persona gravemente lesa a cui dare sostegno e solidarietà- non è stato sufficiente; le altre maestre, appoggiando la direttrice, avrebbero detto alla vittima “Sei una p., in questo modo non troverai mai lavoro nemmeno per pulire i cessi”, secondo quanto dichiarato in aula dalla giovane insegnante poi licenziata.
In altre parole, delle rappresentanti della scuola, figure che avrebbero il compito di coordinare e formare nuove generazioni di bambini e bambine che saranno futuri uomini e future donne, quelle stesse persone e donne si rendono complici di supportare e perpetuare una cultura bigotta, sessista e violenta; condannando moralmente, utilizzando un linguaggio denigrante e facendo ricadere sulla vittima lo stigma della colpa. Quale colpa, poi? Di aver subìto la violenza virtuale di migliaia di sconosciuti che hanno indebitamente avuto accesso al suo corpo, alla sua intimità.
Di questo tipo di scuola non abbiamo bisogno; una scuola che con la mentalità, la cultura e la pratica quotidiana renda sempre più granitici i pilastri della cultura patriarcale, continuando a dare nuova linfa alle strutture conservatrici della società.
Al contrario, abbiamo bisogno di una scuola che incarni sin dall’infanzia il nerbo del cambiamento, che abbia occhi e sguardo rivolti verso le componenti progressive della società. Che instilli nei suoi discepoli, nelle sue creature il germe prolifico del mutamento. Abbiamo bisogno di insegnanti, direttrici/ direttori, rappresentanti scolastici che smantellino quei pilastri fatti di sangue e materiale tossico, rifondandone di nuovi.
Abbiamo bisogno di una scuola che non si riduca a essere svilente erogatore di nozioni, bensì di un'istituzione che formi buoni cittadini. Persone sveglie, critiche e aperte al cambiamento.
Poiché, per neutralizzare certi uomini, piccoli piccolissimi uomini, serve un segnale forte e chiaro; un'inversione di rotta che faccia capire loro, parafrasando le parole di Franca Viola, che la vergogna e il biasimo sociale debbano ricadere esclusivamente su chi ha abusato, violentato, ricattato e, nel nostro caso, diffuso illecitamente materiale privato, ledendo la libertà della persona; perché, se è vero, che si tratta di casi diversi (una violenza fisica e il Revenge porn) le conseguenze psicologiche e sociali possono essere altrettanto devastanti.
Se la scuola non è in grado di comprendere questo, se non è in grado di insegnare la più basilare educazione di genere non assolve al suo compito primario di educatrice sociale e culturale.
E questo è un segnale gravissimo.
Francesca Sammaritano