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29/12/2020 11:02:00

 Berlusconi lascia Palazzo Grazioli. Il Ciao di Renzi a Conte 

Giovedì, il 31 dicembre, Silvio Berlusconi lascerà Palazzo Grazioli, il palazzo romano che lo ha ospitato dal 1996. Si trasferirà nella villa Zeffirelli, sull’Appia Antica, la casa dove ha passato gli ultimi anni della sua vita il regista fiorentino, acquistata nel 2001 da Berlusconi per oltre 3 milioni 375 mila euro nel 2001 e poi prestata in comodato d’uso gratuito a Zeffirelli, scomparso nel giugno dello scorso anno. Scrive Repubblica che  «i bene informati raccontano dell’amara sorpresa di Berlusconi, passato da Roma, di andare in ufficio e non trovare più la postazione di lavoro con computer e sedie portate via da un giorno all’altro. Proprio quando il leader forzista era ricoverato al San Raffaele per Covid. Berlusconi oggi va via per motivi economici. Ma non solo. Il Cavaliere è ricco, ma non ama sprecare il denaro. E dunque gli oltre mille metri quadrati al primo piano nobile del cinquecentesco edificio appartenente alla famiglia Grazioli che gli costavano quasi 40mila euro al mese d’affitto, visto anche la perdita di peso politico suo e di Forza Italia erano veramente troppi. […] Berlusconi ha quindi una nuova casa romana. Ma non è chiaro se ci andrà mai ad abitare. Tutto dipende dal Covid, dagli sviluppi della situazione politica e dai lavori di ristrutturazione che sono ancora da completare. I conoscitori delle cose berlusconiane raccontano che, in ogni caso, la villa sull’Appia antica sarà utilizzata come una casa privata. E quindi non si dovrebbero vedere deputati e senatori in pellegrinaggio, ras locali in cerca di benedizione, questuanti di ogni tipo».

«Palazzo Grazioli aveva da tempo perso il suo ruolo di Camelot dei liberali, una specie di castello incantato dove eri sempre ricevuto come un ospite particolare, cui veniva immediatamente offerto un caffè, una persona che ti facesse compagnia nell'attesa o nella grande sala prossima all'ingresso, dove avvenivano gli incontri gladiatori della politica. Bisogna tornare un bel po' indietro nel tempo per ritrovare l'atmosfera delle liti serrate fra Berlusconi e i suoi alleati, in particolare Fini e Casini, che non cessavano di tenerlo per quanto possibile con la testa sott'acqua […] Ciò che accadrà sull'Appia sarà certamente bello ed elegante, ma non apparterrà più alla geografia politica dei Palazzi della politica di cui Grazioli è stato l'ultimo dei grandi centri pulsanti, dopo la caduta e l'abbandono delle altre sedi storiche dei partiti della Prima Repubblica. Finisce infatti, con il 31 dicembre, la vita di una cittadella piccolissima e virtuale che si allargava appena verso piazza dei Caprettari (la casa dei repubblicani di La Malfa e Spadolini) fino a via Frattina, dove abitavano i liberali, e poi via del Corso dei socialisti, prima e dopo Craxi. Quando fui invitato per la prima volta per un caffè nella casa romana di Silvio Berlusconi, l'indirizzo non era ancora Palazzo Grazioli, ma via dell'Anima, alle spalle di piazza Navona, nel rione Parione, dove avevano trascorso l'infanzia mia madre, suo fratello e un loro coetaneo che si chiamava Giulio Andreotti, e che solo dopo molti anni si trasferì a pochi metri di distanza su Corso Vittorio, che è la prosecuzione di via del Plebiscito dove si trova il Palazzo Grazioli» scrive Paolo Guzzanti sul Giornale. 

Il Ciao di Renzi a Conte

«Il piano predisposto dal presidente del consiglio manca di ambizione. È senz’anima. Si vede che non c’è un’unica mano che scrive. È un collage talvolta raffazzonato di pezzi di diversi ministeri. Si vede la mano burocratica di chi mette insieme i pezzi. Se non ci sarà un accordo le due ministre e il sottosegretario di Italia viva si dimetteranno». Sono durissime le parole che Matteo Renzi, da Palazzo Madama, ha usato sul Recovery plan che si trova sulla scrivania di Giuseppe Conte. La delegazione di Italia Viva sarà ricevuta domattina dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. I capigruppo del Senato Davide Faraone e quella della Camera Maria Elena Boschi, assieme alle ministre Elena Bonetti e Teresa Bellanova, presenteranno un pacchetto di 61 punti «su cui al momento non siamo d’accordo nelle 103 pagine di Next generation Eu», ha spiegato Renzi. La controproposta dei renziani è quella di partire da quattro voci che in un acronimo formano la parola «Ciao» (Cultura, infrastrutture, ambiente, opportunità).

«Un affondo durissimo, oltre il quale si profilano due strade: l’apertura concreta di una crisi di governo, oppure una strategia per alzare il prezzo nella trattativa per un possibile rimpasto, magari incassando anche il via libera ad alcuni punti programmatici che stanno a cuore al leader di Italia viva, forte di poter calcare la mano in quanto ago della bilancia nella maggioranza che sostiene il Conte II. Ma c’è di più: «Noi non vogliamo che si facciano scherzi sui temi sulla sicurezza e chiediamo che il premier affidi la delega ai Servizi segreti a una persona terza» commenta Il Corriere della Sera. 

«Le ipotesi sul tappeto per Conte sono tre, nessuna esente da rischi. Cedere la delega ai servizi segreti come sollecitato ancora una volta ieri da Renzi è un’opzione che Conte valuta, ma a chi? Far entrare in squadra un nuovo sottosegretario richiederebbe un decreto per derogare al tetto di 65 componenti dell’Esecutivo. Una mossa impopolare […]. La seconda opzione è il rimpasto “chirurgico”: secondo chi lo caldeggia, basterebbe sostituire Luciana Lamorgese all’Interno con un terzo ministro renziano […] Resta una terza via: Conte potrebbe tirare dritto e provare a stanare Renzi. Se davvero arrivassero le dimissioni delle ministre Bellanova e Bonetti, potrebbe tenere l’interim e presentarsi in Parlamento per la verifica della fiducia. Il precedente è quello di Giulio Andreotti nel 1990» scrive Il Sole 24 Ore. 

«Un sogno tira l’altro. Quello di Padellaro era Conte che sfancula Messer Duepercento in Senato come fece con l’altro Matteo. La mia variante era il premier che trova una dozzina di senatori centristi disposti a votargli la fiducia per salvare la legislatura e il posto, dimezzando Iv, consacrando quel che ne resta come pelo superfluo della politica e liberandoci delle molestie quotidiane delle Bellanova, Bonetti e Scalfarotto. Ma a Natale ho fatto un sogno ancor più liberatorio: Conte saluta e se ne va, rubando il titolo del piano-fuffa dell’Innominabile, “Ciao”» scrive Travaglio sul Fatto.