Dopo i ritardi di Pfizer, e quelli di AstraZeneca il governo è costretto a rimettere mano al piano vaccini e a rivedere gli obiettivi.
Il governo deve fare i conti anche con altre due problemi sul tavolo: l'allarme che arriva da diversi centri vaccinali regionali, tra cui Lombardia, Sicilia ed Emilia Romagna, sulla mancanza di siringhe di precisione, e la necessità di evitare che le varianti del Covid, da quella inglese a quella sudafricana che preoccupa molto di più, facciano esplodere i contagi anche in Italia come già avvenuto in diversi paesi europei. Sul primo punto arriva la smentita di Arcuri: «È falso», sono state distribuite meno siringhe «per la banale ragione che Pfizer ci ha inviato un numero inferiore di fiale di vaccino».
Sul rischio varianti, invece, la questione è più complessa tanto che l'esecutivo, lo dice il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza, sta valutando la possibilità di un «innalzamento delle misure».
Nel primo trimestre del 2021 sarebbero dovute arrivare in Italia 28 milioni e 269mila dosi. Una quantità che, ormai è evidente a tutti, non sarà rispettata: non è ancora chiaro se e quando Pfizer ripristinerà le forniture previste per garantire entro la fine di marzo 8,7 milioni di dosi (fonti Ue hanno fatto sapere che l'azienda entro la prossima settimana dovrebbe riportare la media delle consegne al 92%). E, soprattutto, AstraZeneca ha confermato la riduzione a causa di un problema alla produzione. Si parla di un taglio del 60%, che, ha detto Conte, per l'Italia significherebbe passare da 8 milioni a 3,4 milioni di dosi.
Il nostro paese potrebbe quindi trovarsi a fine marzo ad avere meno di 14 milioni di dosi, compreso il milione e 300 mila di Moderna, anziché 28. La metà di quanto previsto.
Si dovrebbe riuscire a centrare l'impegno prioritario, vaccinare entro marzo tutti gli operatori sanitari e sociosanitari, ospiti e personale delle Rsa, over 80 e pazienti fragili, oncologici, cardiologici e ematologici.
In tutto quasi 7 milioni di italiani. Ma non le altre categorie: i 13 milioni e 400mila italiani tra i 60 e i 79 anni, i 7 milioni e 400mila con almeno una comorbilità cronica, oltre al personale dei servizi essenziali: insegnanti e personale scolastico, forze di polizia, personale delle carceri e detenuti.