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17/05/2021 11:51:00

La Chiesa taglia i ponti con la mafia. Nasce il gruppo della "scomunica"

di Dorotea Rizzo

Alcuni giorni fa è stato beatificato il giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia nel 1990. Esattamente nello stesso giorno, il 9 maggio, è stato istituito in Vaticano un Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie” per “onorare il primo magistrato beato nella storia della Chiesa, che ha esercitato coraggiosamente la professione come missione laicale”. Il gruppo è formato da grandi esperti nel settore come don Luigi Ciotti , presidente di Libera ; Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma, oggi presidente del tribunale Vaticano; il professore Vittorio Alberti, “officiale” del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale; Monsignor Michele Pennisi, vescovo di Monreale; Rosy Bindi ex presidente della commissione antimafia ; don Marcello Cozzi ,docente della Pontificia Università Lateranense; don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei Cappellani delle carceri; Ioan Alexandra Pop, del Pontificio Consiglio Vaticano per i testi legislativi.

Il compito di questo gruppo è di “approfondire il tema, collaborare con i vescovi del mondo, promuovere e sostenere iniziative”. Ancora di più… la Chiesa si impegna a scomunicare tutte le mafie del mondo, non solo quelle italiane. Ma per poterlo fare è necessario che i pronunciamenti, gli appelli contro la mafia, siano non più solo verbali ma anche scritti: l’inserimento della scomunica nei testi della Chiesa è l’obiettivo principale del gruppo per condannare in maniera più incisiva il fenomeno mafioso. “La commissione è stata costituita proseguendo il lavoro che avevamo iniziato quattro anni fa su mafia e corruzione. A un certo punto, infatti, ci siamo resi conto che nella Dottrina sociale della Chiesa, nel Diritto canonico, nel Catechismo non si fa menzione della scomunica ai mafiosi”, sostiene V.Alberti coordinatore Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie”.

Parlare di scomunica in questi termini è inevitabile dato che quella mafiosa è un’appartenenza che mal si concilia con il Vangelo, concetto ribadito più volte dall’appello per la conversione dei mafiosi di Giovanni Paolo II nel maggio 1993, nella Valle dei Templi di Agrigento, alla definizione di mafia come “strada di morte” pronunciata da Benedetto XVI a Palermo nel 2010, fino ad arrivare alle parole di Papa Francesco sui mafiosi scomunicati e la ndrangheta come “adorazione del male e disprezzo del bene comune.”

Il gruppo si impegna non solo sull’aspetto dottrinario e canonistico ma anche sulla mentalità: “L’aspetto a cui teniamo di più –sostiene sempre il coordinatore Alberti – è quello culturale e cioè la necessità di sensibilizzare, fare rete, approfondire e promuovere questi temi per rafforzare il messaggio del Papa e eliminare definitivamente qualunque possibile compromissione di certo cattolicesimo con le mafie”. C’è la presa di coscienza del bisogno impellente di una nuova pastorale, di un nuovo percorso culturale di condanna ad oltranza del fenomeno mafioso che coinvolge le vittime, i detenuti delle carceri, per dare vita a una nuova speranza. Parola d’ordine è togliere alla mafia qualsiasi aggancio alla religione, “i mafiosi non sono in comunione con Dio”.

Troppo spesso le mafie hanno strumentalizzato la fede appropriandosi persino dei simboli e ritualità legate alla religione, cercando di legittimare la propria posizione nei territori. Gli efferati delitti compiuti, mostrano chiaramente quanto la mafia sia in piena contraddizione con il messaggio evangelico. Si avvicinano le date del martirio del giudice Falcone e Borsellino, uccisi dalla mafia insieme agli agenti della scorta. La presa di posizione della Chiesa con la beatificazione del giudice Livatino e la contemporanea creazione del gruppo contribuiscono quest’anno, più che mai, a dare un senso alla loro morte e al sangue versato di tutti coloro che hanno dedicato la vita alla lotta contro la criminalità mafiosa.