La storia di Giuseppe Cimarosa, figlio del primo collaboratore di giustizia della famiglia mafiosa dei Messina Denaro, Lorenzo (morto qualche anno fa), è nota. Ne abbiamo scritto in tante occasioni.
Così come è nota la vicenda dell’ex consigliere comunale, Lillo Giambalvo, intercettato mentre
diceva di essere “pronto a rischiare trent’anni di galera” per il super boss e di essere disposto ad uccidere il figlio di Lorenzo Cimarosa (“Si fussi io Matteo, ci ammazzassi un figghiu”) per impedirgli di continuare la sua collaborazione con la giustizia.
E’ proprio grazie a Giuseppe Cimarosa, che il padre Lorenzo avrebbe scelto di pentirsi, aiutando i magistrati a far arrestare diversi fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, compresa la sorella Patrizia, il nipote Francesco Guttadauro, i cugini, i cognati...
“Mio padre ha sferrato un colpo durissimo alla cosca dei Messina Denaro” ha sottolineato Giuseppe nell’audizione in commissione antimafia nazionale di mercoledì scorso (qui potete vedere il video integrale).
Una scelta costata cara in termini di isolamento.
“La famiglia Messina Denaro non si doveva preoccupare di attivare atti intimidatori nei nostri confronti, perché ci ha pensato l’isolamento della società, al punto che mio fratello si è trasferito perché alcune persone che avevano delle aziende gli hanno detto che non avrebbero mai potuto assumere uno dei figli di Cimarosa, altrimenti avrebbero dovuto chiudere le loro società”.
Di seguito le domande dei membri della commissione parlamentare antimafia e le riposte di Cimarosa.
Wanda Ferro (Fratelli d’Italia): Una domanda rispetto al discorso della casa e ovviamente della struttura che lui ha migliorato che, da quello che abbiamo sentito, non è frutto dei proventi di un certo tipo, se invece i parenti di Messina Denaro che sono in carcere hanno avuto eventualmente il sequestro dei beni o se non l’hanno avuto. Da questo possiamo comprendere un po’ quello che alla fine dovrebbe essere una giustizia giusta. E credo che sia una risposta che il signor Cimarosa ci può dare.
Giuseppe Cimarosa: Io non conosco nello specifico quali siano i beni materiali o immateriali nelle disponibilità della famiglia Messina Denaro, però so con certezza che loro vivono nelle proprie case. Le case in cui abitano non sono mai state toccate dalle Stato. Parliamo della madre di Matteo Messina Denaro, che ha una casa in via Ruggero Settimo, ma anche di tutte le sorelle. Loro continuano a vivere tranquillamente da sempre nelle loro case.
Luca Paolini (Lega): Al momento l’amministratore del bene è lei o qualche altro soggetto? A suo padre è stata riconosciuta la qualità di collaboratore e i relativi aiuti economici?
Giuseppe Cimarosa: Il bene inizialmente fu gestito da un amministratore giudiziario che si chiamava Maurizio Lipani, che poi venne arrestato. In seguito ha continuato la gestione il dottor Candela, che non mi ha mai detto di andare via, permettendomi di poter continuare a lavorare in quella struttura. Non so cosa succederà se dovesse arrivare una confisca definitiva.
Ad ogni modo io non sono interessato alla proprietà, solo che non posso andare altrove.
Io sto lottando, mettendoci la faccia e cucendomi addosso come un tatuaggio il rischio di morire a Castelvetrano. E’ lì che vivo, ho contro Matteo Messina Denaro, ma non ho nessuna protezione.
Ciò che potevo dare come contributo alla lotta alla mafia, l’ho dato. Sono stato intervistato da Tv e giornali, facendo una battaglia mediatica. Per me non è stato semplice farlo. Non è stato semplice raccontarsi davanti all’Italia e al mondo. Ma era l’unico modo che avevo per far sentire la mia voce e per proteggermi.
Ma il mio futuro non può essere difeso da un’altra battaglia mediatica. Lo Stato mi deve permettere di avere un futuro. E nello stesso tempo, non voglio rovinare il mio passato, rappresentato dalla collaborazione di mio padre dalla mia presa di distanza e da ciò che rappresento a Castelvetrano.
Non vorrei rovinare questo passato, rendendo vano tutto ciò che è stato detto da mio padre e poi da me e da mia madre.
Mio padre è stato riconosciuto come collaboratore di giustizia, ma non ha mai usufruito di alcun aiuto economico o programma di protezione.
Luca Paolini (Lega): Lei attualmente come vive? Riceve uno stipendio dall’amministrazione giudiziaria? Che tipo di entrate avete lei e la sua famiglia? C’è qualcuno che l’aiuta? Eventualmente, se si tratta di qualcuno che non vuole esporre a rischi, può chiedere la secretazione di questa parte dell’audizione e tutto resterà qui.
Giuseppe Cimarosa: No, non ho nulla da nascondere. La realtà equestre di cui sono fondatore, si adopera attraverso un’associazione sportiva dilettantistica. Ci occupiamo di scuola di equitazione ed ippoterapia. Ho creato anche un progetto di teatro equestre, la prima realtà in Italia che, da dieci anni a questa parte, mette insieme i cavalli e l’arte. Non ho lo Stato o un amministratore giudiziario che mi passa dei soldi. Non ho uno stipendio, la maggior parte di ciò che guadagniamo viene speso per gli animali e l’attività.
Luca Paolini (Lega): Lei non ha una tutela? Quindi se io domani voglio farle quello che è successo al collega Aiello, cioè vengo a Castelvetrano le dò un pugno, piuttosto che peggio, lei non ha nessun tipo di tutela? Né lei, né la sua famiglia? Siete totalmente esposti?
Giuseppe Cimarosa: No.
Michelina Lunesu (Lega)
Lei ha detto che suo padre Lorenzo è stato arrestato per aver messo a disposizione la sua ditta edile, quindi con fatture gonfiate, in modo da dare l’esubero alla famiglia Messina Denaro. Cosa chiedevano loro in cambio?
Giuseppe Cimarosa: Loro semplicemente lo mettevano nelle condizioni di lavorare. Essendo i patroni assoluti del territorio ed in grado di pilotare gli appalti facendoli prendere a delle società che stanno dalla loro parte, in modo che loro possano averne un guadagno. Se mio padre avesse rifiutato, se avesse detto no alla mafia, non avrebbe più potuto lavorare in città e sarebbe stato costretto ad andare via. Certo, è comunque sbagliato, ma il tornaconto era questo.
E sulla vicenda della casa, Cimarosa aggiunge:
È accaduto anche che quando mio padre stava costruendo la casa, aveva chiesto un mutuo alla banca di 100 mila euro, a nome mio e di mio fratello, perché la casa è intestata a noi due. Quattro giorni prima che ci venisse notificata la confisca del bene, ci comunicarono lo sblocco del mutuo.
Ingenuamente pensai che l’avessero liberata, invece mi sono trovato a pagare quel prestito servito a costruire una casa che rischia di essere confiscata definitivamente.
Inoltre non posso accedere a nessun finanziamento, non posso aprire un conto in banca, non posso sognare nulla per il mio futuro, perché sono stato cancellato dalla società.
Egidio Morici