Sono trascorsi cinquant’anni dalla “Tragedia di Marsala”. Era il 21 ottobre del 1971, quando Antonella, Ninfa e Virginia, tre bambine marsalesi uscirono di casa per accompagnare a scuola Liliana, la sorella di Antonella, ma da allora non fecero più ritorno. Da quel giorno, quella vicenda, che sconvolse non solo l’intera comunità marsalese, ma l’intera Italia, è associata al “Mostro di Marsala”.
Il responsabile del triplice omicidio di Antonella Valenti di 9 anni e delle sue cuginette Ninfa e Virginia Marchese, di sette e cinque anni, è, infatti, lo zio della più grande, Michele Vinci.
La tragedia delle tre bambine, uno dei grandi fatti di cronaca italiani il cui eco arrivò anche fuori dai confini italiani, oggi non viene ricordato da nessuna manifestazione o iniziativa istituzionale. L’amministrazione comunale, infatti, non ha organizzato nulla a ricordo di questo triste anniversario e della memoria delle tre bambine. Oggi ricordiamo quello che a tutti gli effetti sarebbe diventato un caso mediatico, anche per i tanti aspetti mai chiariti. Sulla fine delle bambine, la confessione di Vinci e poi le condanne, Vincenzo Consolo, all’epoca inviato del quotidiano "L’Ora" per seguire il dibattimento, scrisse che in ogni processo «la lotta è far coincidere la realtà con la verità» e che «mai la realtà è apparsa come a Marsala così velata, distorta, occulta, insondabile». Furono tanti i dubbi procedurali, le drammatiche confessioni e ritrattazioni, contrasti di perizie, nuovi arresti e colpi di scena. E poi i collegamenti mai appurati con il progetto di sequestro dell’onorevole Salvatore Grillo, ma anche con lo stesso rapimento di Luigi Corleo, capostipite dell’impero esattoriale dei cugini salemitani Nino e Ignazio Salvo.
La scomparsa e le ricerche - Quel giorno le bambine uscirono di casa per accompagnare a scuola Liliana, la sorella di Antonella. Vito Impiccichè, il nonno di Antonella, non vedendola rientrare lanciò l’allarme e iniziò così una ricerca che coinvolse oltre agli uomini delle forze dell’ordine, anche tantissimi cittadini che per giorni passarono al setaccio tutto il territorio e le campagne marsalesi. Tremila uomini, tra militari e volontari, cercano in tutte le contrade della città. Le indagini sono coordinate dal giudice Cesare Terranova, già istruttore del processo ai corleonesi a Bari e in seguito, nel 1979, ucciso in un agguato mafioso a Palermo. Da pochi mesi procuratore a Marsala, dirà: «Sono preoccupato, penso al peggio».
I testimoni - A qualche giorno della scomparsa c’è un primo testimone, un benzinaio di origine tedesca, Hans Hoffman. L’uomo riferisce agli inquirenti di aver visto un uomo su una Fiat 500 blu con a bordo delle bambine che gesticolavano e sbattevano le mani nel finestrino dell’auto come per chiedere aiuto. Dopo qualche giorno si presenta davanti al giudice Terranova, Giuseppe Li Mandri, dicendo di essere lui l’automobilista della 500 blu, e che a bordo c’era il figlio che faceva i capricci perché non voleva andare a trovare un parente in ospedale. Questa è una prima stranezza sul caso: chiamata a testimoniare la moglie di Li Mandri ha detto che non c’era nessun parente in ospedale.
Il ritrovamento del corpo di Antonella Valenti – Cinque giorni dopo la scomparsa c’è la svolta. Il 26 ottobre, per caso, nei pressi di una scuola abbandonata in c.da Rakalia, il signor Ignazio Passalacqua trova il corpo della piccola Antonella Valenti. La bambina ha subito violenza ma in seguito l’autopsia escluderà quella carnale. Accanto al corpo c’è del nastro adesivo - sarà fondamentale per risalire all’assassino - prodotto dalla ditta San Giovanni di Marsala. I genitori di Antonella, Leonardo e Maria che si trovano in Germania per lavoro, rientrano subito a Marsala.
Le indagini - Il nastro adesivo trovato vicino al corpo di Antonella Valenti conduce le indagini verso quella fabbrica, dove lavora Michele Vinci, lo zio di Antonella. Sono almeno tre gli indizi che portano i giudici a stringere il cerchio su di lui. Il primo: ha una Fiat 500 blu sulla quale c’erano state delle testimonianze; lavora dove viene prodotto il nastro utilizzato per soffocare la bambina; l’ultimo indizio arriva dalle dichiarazioni della moglie che ha detto agli inquirenti che il marito il giorno della sparizione delle bambine non era rientrato a casa per il pranzo come solitamente faceva.
L’arresto di Michele Vinci - Il giudice Terranova emette il mandato di arresto per Vinci. Lo interroga e messo alle strette confessa di aver rapito le bambine per appartarsi con una di loro, con la nipote Antonella, e di aver gettato Ninfa e Virginia in una cava profonda circa una ventina di metri che si trovava all’interno di un terreno di proprietà di Giuseppe Guarrato, dove effettivamente verranno ritrovate il 9 di novembre.
Continua...