Diciannove anni di carcere sono stati invocati dal pm della Dda Francesca Dessì per Calogero Jonn Luppino, di 42 anni, di Campobello di Mazara, imprenditore nel settore delle scommesse e gioco on line, processato davanti il Tribunale di Marsala per associazione mafiosa, estorsione e, con altri due imputati, anche di intestazione fittizia.
Presidente del collegio giudicante è Alessandra Camassa, giudici a latere Francesco Paolo Pizzo e Massimiliano Alagna). Nel processo - scaturito dall’inchiesta dei carabinieri “Mafia Bet”, nella quale, tra febbraio e marzo 2019, sono rimaste coinvolte in tutto 14 persone – sono imputate, con accuse meno gravi altre quattro persone, tra le quali anche il padre di Calogero Jonn Luppino, Giorgio Gaspare Luppino, accusato di ricettazione. Per lui, il pm ha chiesto 3 anni di reclusione. Stessa pena invocata anche per Paola Maggio e Gaudenzia Zito. Cinque anni, invece, è stata la pena chiesta per Vito Balsamo. Chiesta anche la confisca dei beni sequestrati.
L’indagine, secondo l’accusa, ha consentito di monitorare la rapidissima ascesa imprenditoriale di Calogero Jonn Luppino nel mondo delle scommesse e giochi on line. Ascesa che sarebbe stata favorita dagli affiliati ai mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, che obbligavano i vari esercizi commerciali del trapanese ad istallare i device delle società di Luppino. E quest’ultimo, in cambio, avrebbe assicurato il sostentamento economico a famiglie di mafiosi detenuti. E in particolare del boss campobellese Franco Luppino e della moglie Lea Cataldo. “E ciò emerge dalle intercettazioni cui è stato sottoposto Calogero Jonn Luppino” ha affermato, nella sua requisitoria, il pm Francesca Dessì, che ha aggiunto: “Nel 2017, in una intercettazione ambientale si sente Luppino che parla con Dario Messina, reggente della famiglia mafiosa di Mazara, e il primo parla di soldi dati a Franco Luppino tramite il nipote. In un’altra intercettazione Luppino dice di averlo aiutato di sua spontanea volontà. Nessuno gliel’ha chiesto, né l’ha costretto”. Altre sette persone coinvolte nella stessa indagine hanno scelto di essere giudicate con rito abbreviato e il 30 giugno 2020 quattro di loro sono stati condannati dal gup di Palermo Claudia Rosini. La pena più severa (12 anni di carcere, e cioè quanto invocato dal pm Dessì) fu inflitta, per concorso in associazione mafiosa e in corruzione elettorale, nonché estorsione, all’imprenditore Salvatore “Mario” Giorgi, di Campobello di Mazara. A dieci anni e mezzo, invece, è stato condannato, sempre per associazione mafiosa, Francesco Catalanotto, di Castelvetrano, gestore di un centro scommesse a Campobello di Mazara. Per favoreggiamento personale (ma senza l’aggravante mafiosa, come invece aveva contestato l’accusa) sono stati, poi, condannati a due anni di reclusione ciascuno, ma con pena sospesa, i campobellesi Paolo De Santo e Giacomo Barbera. Il gup Rosini ha assolto Calogero Pizzolato, anche lui di Campobello di Mazara, Antonino Tumbiolo, di Mazara, e Giuseppe Di Stefano, di Salaparuta. Tornando al processo in fase conclusiva a Marsala, le indagini dei Carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Guido, e dai sostituti Gianluca De Leo e Francesca Dessì hanno permesso di monitorare, sostengono gli investigatori, “la rapidissima ascesa imprenditoriale di Luppino Jonn nel mondo delle scommesse e giochi on line”. Luppino “dirigeva e controllava il settore economico dell’esercizio di giochi e scommesse affidando alcune delle relative agenzie ad altri associati mafiosi. La sua ascesa è stata favorita in tutto e per tutto dagli affiliati ai mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo che obbligavano i vari esercizi commerciali del trapanese ad istallare i device delle società di Luppino e Giorgi, pena pesanti ritorsioni. Gli esercizi che invece accettavano il monopolio facente capo a Cosa Nostra, potevano godere della ‘protezione’ dei mafiosi pronti a punire chi, tra la delinquenza comune, prendeva di mira quegli esercizi commerciali. Così accadeva con un bar di Petrosino, che aveva subito un furto proprio di macchinette per giochi riferibili alle società di Luppino e Giorgi. Cosa Nostra individuava il responsabile del furto e, tramite il referente mafioso di quel luogo, provvedeva alla punizione del presunto reo, colpevole di aver danneggiato un esercizio che già aveva pagato la protezione dell’associazione mafiosa”. Nel processo sono parti civili i Comuni di Campobello e Castelvetrano, Codici Sicilia (avv. Giovanni Crimi), l’associazione “La Verità vive” di Marsala (avv. Giuseppe Gandolfo) e l’Antiracket Trapani (avv. Giuseppe Novara).