E’ una delle figure più importanti della cultura trapanese, ma anche tra le più dimenticate. Tant’è che Trapani ha reso omaggio a Nicola Badalucco, morto nel 2015, solo qualche giorno fa.
Di Badalucco, l’Enciclopedia del Cinema di Treccani, scrive: “Nel suo lavoro, quasi sempre svolto in collaborazione, ha privilegiato tematiche storiche, film di impegno sociale e in particolare il cinema basato su fonti letterarie; sporadico, ma di successo, è stato invece il suo impegno per una cinematografia minore e di facile consumo”.
La candidatura agli Oscar, i film con alcuni tra i più grandi registi italiani, i soggetti scritti per attori di fama internazionale. E poi “La Piovra” che per Badalucco era un racconto della sua Trapani più nascosta, sconosciuta, fatta di mafia e massoneria deviata. Un racconto che Trapani non ha apprezzato, e ha voltato le spalle per anni ad uno dei suoi figli più brillanti.
La prima sceneggiatura a 12 anni
Proprio ieri, Giacomo Pilati, giornalista e scrittore trapanese, su La Repubblica ha raccontato la storia di Nicola Badalucco, citando i suoi esordi da bambino raccontati in La Giostra, il diario di 15 anni di vita trapanese. Eccone un estratto.
La scoperta del cinematografo, la prima sceneggiatura scritta a 12 anni per un fumetto a scuola. Ecco come tutto è cominciato: «Un bel giorno l’editore di “Fulmine” decise di lanciare un concorso di stampo patriottico per i ragazzini italiani: ideare una storia di guerra in cui un eroe italiano sacrificava la vita per combattere contro gl’inglesi. I concorrenti dovevano indicare 72 quadri e suggerire le battute da attribuire ai personaggi. Più che una storia di guerra mi era venuta fuori una tragica vicenda di famiglia, abbastanza commovente.
Forse per questo la giuria del concorso, che evidentemente di patriottismo non ne poteva più, mi assegnò il primo premio». Il grande schermo, l’amore impetuoso che segnerà la sua vita, è un ricordo indelebile che appartiene a un piccolo cinema di Paceco, il paese dove la famiglia Badalucco era sfollata nel 1942: «Vedevo tutti i film che uscivano in quella saletta da 60 posti. Ma la cosa più importante è questa: da Roma arrivava un settimanale che si chiamava “Cinecittà”, con tante notizie riguardo al cinema che mi sembrava di abitare a Roma. Ma soprattutto il lettore si poteva mettere in comunicazione con gli artisti e chiedere una fotografia con autografo. Tante attrici, ma la preferita, quella che mi faceva impazzire era Luisa Ferida. Ne ero veramente affascinato. Possedevo tante sue foto e le tenevo fra le pagine del dizionario di latino, che in casa toccavo soltanto io». Lo spirito del racconto scolpito nelle sue origini; una danza di immagini, sul filo della memoria, ritrovata fra le righe delle sue immortali sceneggiature. Un giro per le strade della vita in cui la giostra diventa la metafora del viaggio. «Le cose più belle che potevo incontrare, stando sulla giostra, erano la possente e candida mole della Colombaia e, più oltre, le sagome di tre isole così vicine che mi sembrava di poterle toccare allungando una mano. Allora non sapevo che girando in senso antiorario viaggiavo per davvero indietro nel tempo. Parlo di millenni non di anni».
Il giornalista, l’inchiesta sulla mafia e le minacce
Prima di diventare un grande sceneggiatore Nicola Badalucco, dopo il trasferimento a Roma, inizia a scrivere per l’Avanti! Sono gli anni 50, e Badalucco fa parte di quella generazione di giornalisti che indagano sulle sfumature dei territori e sugli effetti del dopoguerra. E’ la generazione di Sciascia, delle indagini sulla mafia. E nel 1955 viene mandato in Sicilia per un'inchiesta sull'assassinio, da parte della mafia, del giovane sindacalista Salvatore Carnevale, Badalucco riesce a scoprire i nomi dei quattro assassini del sindacalista e, constatando l'inerzia degli organi inquirenti, li pubblica sull'Avanti!. Riceve minacce di morte ed è costretto a nascondersi. Può tornare allo scoperto quando i colpevoli vengono arrestati. Era la prima volta che dei mafiosi venivano processati per l'uccisione di un sindacalista.
Diventa capo redattore del giornale socialista, e la sua intensa collaborazione con Pietro Nenni lo porteranno all’impegno sui temi centrali nella ancora giovane democrazia del Paese.
Lo sceneggiatore, la candidatura agli Oscar
A fine anni 60 Badalucco si dedica alla sceneggiatura, e diventa presto uno dei più apprezzati non solo in Italia ma anche all’estero. Collabora con i migliori registi, Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Giuliano Montaldo e Damiano Damiani, e scrive i soggetti che verranno interpretati dai più importanti attori dell’epoca.
Già dal suo esordio in sceneggiatura il nome di Nicola Badalucco verrà conosciuto in tutto il mondo. Scrive “La caduta degli Dei”, diretto da Luchino Visconti. La sceneggiatura del film gli varrà la candidatura agli Oscar. Non vince, ma in America apprezzano molto il lavoro di Badalucco, che dagli anni 70 farà parte della commissione giudicatrice degli Oscar.
Il film “La caduta degli Dei”, tra l’altro si può guardare in streaming su youtube.
In questi giorni a Trapani, Nicola Badalucco è stato omaggiato con una serie di eventi. Tra questi la proiezione di “Bronte: cronaca di un massacro”, di Florestano Vancini. Un film, uscito nel 72, scritto con Leonardo Sciascia. Per tutta la sua carriera da sceneggiatore Badalucco ha affondato il suo sguardo nella storia italiana, nella sua analisi, dal ventennio fascista, alla Resistenza, al dopoguerra e la mafia. “Libera, amore mio!”, “L’Agnese va a morire”. In “Io ho paura” e “Un uomo in ginocchio” Badalucco si confronta ancora con il tema della mafia. Il primo film, interpretato da Gian Maria Volonté, è un'indagine di polizia sulle connivenze tra mafia e mondo politico che per alcuni versi anticipa la serie televisiva La piovra, alla quale lo stesso Badalucco ha partecipato per alcuni episodi, mentre Damiani ne è stato il regista. Il secondo è invece la storia di un palermitano (Giuliano Gemma) che cerca di sfuggire alle pressioni della mafia.Completamente diversa è stata l'esperienza tentata scrivendo film comici e umoristici, basati dunque su un registro stilistico assai lontano dal consueto, in particolare Piedone lo sbirro con Bud Spencer.
Badalucco ha trasmesso la sua arte insegnando per tredici anni drammaturgia cinematografica presso il Centro sperimentale di cinematografia, ha tenuto seminari e conferenze al DAMS di Bologna e in varie università italiane e straniere. È stato fondatore nel 1996 e primo presidente della SACT, l'associazione degli sceneggiatori italiani fino allo scioglimento nel 2014.
In quest'intervista racconta quell'esperienza.
La Piovra
Badalucco aveva lasciato la sua Trapani giovanissimo, per Roma, negli anni 50. Il legame con la sua città, però, non smette. E 30 anni dopo scrive una delle fiction più famose della storia della tv italiana, ed esportata in tutto il mondo. “La Piovra” è stato il racconto di una mafia non ancora venuta a galla, di una commistione tra borghesia, mafia, logge massoniche, che nessuno aveva osato descrivere. Massoneria deviata, banche, politica, soldi sporchi, giudici corrotti, raccontati in una serie frutto di un accurato lavoro d’inchiesta e di ricerca che Badalucco ha compiuto nel corso degli anni.
Per Badalucco “La Piovra” fu però il motivo che lo allontanò dalla sua città.
”Subito dopo la prima puntata, il mio cognome è stato all’ordine del giorno del direttivo di un circolo trapanese, successivamente rivelatosi vicino alla P2. Hanno continuato a chiedersi per settimane intere chi fossero i mandanti della mia sceneggiatura. Chi mi aveva ordinato di scrivere “La Piovra”. Chi erano i miei parenti più prossimi; insomma a chi appartenevo. E attorno un silenzio surreale”. Sperava di scuotere le coscienze, di raccogliere la vicinanza dei trapanesi perbene, la solidarietà, il loro sdegno. Ma Trapani, tranne una parte, si girò dall’altra parte, e si affannò a prendere le distanze da quella realtà.
Nei primi anni duemila scrisse il soggetto della serie Tv, realizzata e trasmessa molti anni dopo, Il commissario Maltese, sempre ambientata e girata a Trapani.
Quando voleva fare un film con Buscetta
Stava per fare un film con e sul super pentito Tommaso Buscetta, Nicola Badalucco. Lo aveva anche incontrato. Racconta l’episodio Vittorio Sindoni, regista e sceneggiatore, a Roma, nel corso di un incontro in ricordo di Badalucco un paio d’anni dopo la sua morte. Si doveva chiamare “Il boss è solo” tratto dal libro di Enzo Biagi che intervista Buscetta. Si decide di proporre la cosa direttamente a Buscetta, viene contattato Biagi che rimase entusiasta dell’idea. “Siamo andati a Whashington - racconta Sindoni - abbiamo incontrato Buscetta che pendeva dalle labbra di Nicola”. Poi il film non si fece, ci furono dei problemi con i budget richiesti dagli attori. Si ipotizzò Michele Placido, che veniva da La Piovra e voleva prendersi una pausa. Poi Alain Delon che propose troppi soldi per due puntate. Il film non si è fatto più. “Ma era affascinante Nicola quando parlava, persino un gangster come Buscetta si era quasi inginocchiato”.
Perchè Trapani l’ha dimenticato?
In questi giorni, ma è un’attività portata avanti da tanti anni, Giacomo Pilati ha tenuto alta la memoria di Nicola Badalucco, dando seguito alla battaglia di far riappacificare Trapani con Badalucco, quantomeno postuma.
In un suo articolo di qualche anno fa Pilati racconta così lo scoramento di Badalucco per il rapporto tranciato con la sua città.
Nicola Badalucco nei suoi ultimi anni di vita si considerava con dolore un non trapanese. Un distacco che continuava a fargli male. “E’ una constatazione amara. Oggi ho un rapporto vivo con le pietre, con i volti. Per il resto qui sono considerato un estraneo. La sua complicità con il degrado etico e morale di questi anni mi spezza il cuore, nonostante il legame affettivo sia rimasto fortissimo. Qui ho ancora la casa dei miei genitori, una sorella che amo. Mi sento, e non per colpa mia, una specie di forestiero che torna un mese l’anno nel suo paese”. Così Nicola Badalucco raccontava nella sua ultima intervista il rapporto con la città. Un amore schiacciato dalla indifferenza. Spezzato dall’accusa dei salotti buoni di avere smosso lui le acque della Piovra. Si è portato dietro il rimorso di non essere stato considerato a pieno cittadino di Trapani. Se n’è andato quattro anni fa. Senza che nessuno gli abbia mai chiesto scusa per la colpevole dimenticanza.
In questi giorni la città ha provato a chiedergli scusa. Ma forse, più delle parole, adesso servirà riprendere le sue opere, capirle, comprenderle, e ammirare un maestro del cinema che con Trapani nel cuore, col coraggio di scardinare tutte le sue ombre, si è fatto valere nel mondo.