“Un imprenditore vicino a cosa nostra”. Che grazie a questi rapporti si era aggiudicato diversi appalti ad Alcamo e dintorni. Così gli investigatori descrivono Pasquale Perricone, ex vice sindaco di Alcamo, finito sotto inchiesta e arrestato negli anni scorsi, recentemente destinatario di un sequestro di beni per 2,5 milioni di euro.
E proprio in quel provvedimento viene tracciata la storia del rapporto tra mafia e imprenditoria ad Alcamo e nella provincia di Trapani dalla fine degli anni ottanta ai giorni nostri. Quella di Perricone è una figura di primo piano in questa commistione tra imprenditoria e mafia. “Una personalità forte e spregiudicata” scrivono gli inquirenti su Perricone, che si vantava delle sue amicizie con esponenti di spicco della mafia di quegli anni. Una figura che entra anche in quel progetto fallito della mafia di voler fondare un partito, come pensava Matteo Messina Denaro. Poi le cose cambiarono e Perricone si diede ad un altro business: la formazione professionale.
Il sequestro dei beni
Perricone ha costruito una fortuna nel settore degli appalti pubblici e della formazione professionale. Recentemente è finito sotto processo per un caso di corruzione nell’ambito della formazione professionale.
In totale sono stati sequestrati beni per 2 milioni e mezzo: sei aziende operanti nel settore della formazione professionale, edile e del commercio; il 50% delle quote di una società immobiliare; 4 immobili e 6 rapporti finanziari. Secondo le indagini, alle quali hanno contribuito alcuni collaboratori di giustizia, Perricone sarebbe ritenuto pericoloso e appartenente a un’associazione di tipo mafioso che avrebbe conseguito illeciti profitti derivanti da finanziamenti pubblici previsti anche in favore della formazione professionale. Nel maggio del 2016, l'imprenditore è stato arrestato e poi rinviato a giudizio. E' stato poi condannato a 5 anni nell'ambito dell'inchiesta "Affari sporchi". Gli investigatori hanno ricostruito alcune aggiudicazioni pubbliche a seguito delle quali doveva essere versato alla famiglia mafiosa il 2 per cento rispetto al prezzo corrisposto dall’ente pubblico. Ex vice sindaco di Alcamo, Perricone si era candidato alle Regionali del 2012 nella lista del Megafono di Rosario Crocetta.
“Si cagavano tutti di me
Perricone si vantava dei suoi rapporti con personaggi di spicco di cosa nostra. Conosceva i fatti di mafia di Alcamo, Calatafimi, Castellammare, di quella zona nevralgica al confine con Palermo. Parlava, non sapendo di essere intercettato, della guerra di mafia di Alcamo dopo le stragi del 92. Gli inquirenti sottolineano come Perricone mostrasse “piena conoscenza dei vertici della locale famiglia e della successione del comando dal Milazzo a Giuseppe Ferro e a Ignazio Melodia”. Personaggi con i quali Perricone intratteneva rapporti e con i quali, secondo quanto emerge, c’era stima reciproca. Parla degli incontri con Melodia, degli ottimi rapporti con Ferro. E a quanto pare tutti sapevano ad Alcamo di questa amicizia. “Alla fine comandavano i Ferro… Ad Alcamo di me si cagavano tutti perchè sapevano che io avevo questi rapporti con Ferro e che lui mi aveva nelle sue grazie…”.
Perricone, sempre a colloquio con la sua amante, si autodefiniva “leader in provincia e anche fuori” nell’aggiudicarsi gli appalti, si gloriava di aver “fottuto” le altre imprese concorrenti nelle gare d’appalto. Forte della protezione di cui avrebbe goduto si vantava del fatto di aver “cacciato” un mafioso che gli aveva fatto notare di aver preso un appalto nel suo territorio.
“Bisogna parlare con i comunisti”
La politica attraversa tutta la vita di Perricone, collocato a sinistra, anche nei suoi rapporti con la mafia e nel suo essere, come detto dai collaboratori, “a disposizione” della consorteria mafiosa. Si vanta, Perricone, più volte intercettato, di aver incontrato il “gotha” di cosa nostra, come il boss Leoluca Bagarella, negli anni novanta. Racconta Perricone, alla fidanzata, intercettato, che Bagarella una volta lo chiamò per risolvere un contrasto con una cooperativa “di comunisti” in relazione ad un appalto per realizzare un invaso a Collesano, vicino Termini. Di quell’appalto il 10% spettava alla CEA di Perricone, definita “cosa mia” da Bagarella, e il 90% ad un’altra cooperativa che rifiutava di versare il pizzo: “ci deve pagare da bere”. E’ a Palermo che Bagarella chiede a Perricone di parlare con i “comunisti”, vista la collocazione politica a sinistra sia della coop che di Perricone.
Il partito politico
Prima del centrosinistra, prima del Megafono di Crocetta, la passione politica di Perricone si unì a quella di altri personaggi del calibro di Matteo Messina Denaro, Gioacchino Calabrò, Leoluca Bagarella. Era il 1993 quando - secondo il racconto di Ferro - si tengono a Palermo diverse riunioni con i boss per discutere della creazione di un nuovo partito politico che tutelasse gli interessi di cosa nostra. I boss dicono a Ferro di chiamare dentro il progetto alcuni politici di Alcamo, tra questi viene contattato Perricone che partecipa ad un incontro a Palermo con Antonino Mangano. Poi la mafia decide di diventare sommersa, lo scenario politico cambia, il partito non si fa più.
Ma Perricone conosce molto di quell’epoca, delle cose di mafia e di politica tra Alcamo e Trapani. Di come funzionava il sistema degli appalti e come le imprese controllate da cosa nostra hanno preso in mano importanti opere pubbliche del territorio. Una storia che continueremo a raccontare domani…