“Si cagavano tutti” di lui, diceva Pasquale Perricone alla sua amante nel 2014, raccontando i rapporti con cosa nostra (qui la prima parte della nostra inchiesta).
Rapporti che, sempre secondo quanto racconta l’ex vice sindaco di Alcamo, l’hanno portato ad essere “leader in provincia e anche fuori” del sistema degli appalti truccati. Un sistema che secondo gli inquirenti ha visto l’imprenditore alcamese al centro di alcuni dei più importanti appalti della provincia nel corso degli anni. Nel provvedimento di sequestro dei beni gli investigatori non hanno dubbi nel ritenere Perricone, almeno dal 1989 al 2005, “un imprenditore a disposizione della famiglia mafiosa di Alcamo”.
L’acquedotto, il porto, il pizzino
Secondo quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia, Giuseppe e Vincenzo Ferro e Gaspare Pulizzi, Perricone è ritenuto un imprenditore “vicino” a Cosa nostra, e grazie a questo appoggio si era aggiudicato diversi appalti pubblici, milionari, negli anni ad Alcamo e non solo. Uno di questi appalti riguardò la costruzione dell’acquedotto di Alcamo, un lavoro da 20 miliardi di vecchie lire. Nel consorzio di imprese che si aggiudicò l’appalto c’era la CEA, società presieduta proprio da Perricone. Tra gli appalti anche quello dei lavori di urbanizzazione di contrada Crucicchia, nei primi anni 90, sempre ad Alcamo, per oltre 3 miliardi di lire. Altro grande appalto riguarda i lavori di messa in sicurezza del porto di Castellammare. Siamo nel 2005. Si aggiudica tutto la Co.Ve.Co., un consorzio di cui faceva parte la CEA di Perricone. Nel covo del boss Salvatore Lo Piccolo, al momento del suo arresto, vengono trovati diversi pizzini del boss latitante Matteo Messina Denaro. In uno di questi si faceva chiaro riferimento alla COVECO e al lavoro al porto di Castellammare.
Mafia e appalti, come funzionava
Perricone viene ritenuto come un imprenditore “a disposizione” di Cosa nostra, per grandi e piccoli appalti. Le gare per le grandi opere se le aggiudicano imprese in odor di mafia tra gli anni 90 e inizio anni 2000. Perricone c’è dentro, sa come funzionava. Racconta tutto alla sua amante, intercettato, nel 2014. Lui, Perricone, diceva di aver operato “ad un altro livello”, a proposito delle pizzo da pagare alla mafia, “trattava fino alla fine” e spiega quali fossero le percentuali che in passato aveva pagato alla mafia “dall’uno, al due - due e mezzo”, del valore degli appalti pubblici che si era aggiudicato. Ma i margini restavano, eccome, visto che i ribassi erano del 6-5% , non come ai giorni nostri, con ribassi di oltre il 30%.
Perricone, intercettato, racconta l’evoluzione storica dell’interessamento di cosa nostra al sistema degli appalti: inizialmente le famiglie mafiose si accontentavano di avere assicurato dagli appaltatori un compenso per la guardiania “volevano assunto a quello, gli davi qualcosa al mese…”. Poi sollecitati dalle richieste di ingerenza nelle procedure avanzate dagli stessi imprenditori avevano catturato alcune imprese, entrando direttamente in gioco.
Il leader degli appalti truccati
Si gonfiava il petto, esaltava il suo “coraggio” nel cacciare un mafioso che si era presentato negli uffici della Cea di Alcamo lamentandosi del fatto che stava partecipando ad una gara nel suo territorio. Si definisce, Perricone, “leader in provincia e anche fuori” nell’ottenere col trucco gli appalti. Sono gli anni novanta, e Perricone aveva compreso i meccanismi leciti ed illeciti per aggiudicarsi gli appalti pubblici, che iniziavano già con l’incarico di progettazione e finanziamento, con la “cura del bando di gara, poi la gara si faceva però se eri capace te lo aggiudicavi”. Il trucco viene messo in pratica, ad esempio, per i lavori di restauro della Chiesa di Romitello. Spiega Perricone di aver partecipato alla gara inviando da 22 a 23 offerte a nome di ditte diverse, in modo tale da avere certezza dell’aggiudicazione ad una di esse della commessa che veniva fatta calcolando la media di tale lavori. “Si faceva la media delle percentuali offerte e si aggiudicava a quello che si avvicinava di più. Quindi avendo il maggior numero delle offerte determinavi tu la media, cioè, anche se ne avevi uno o due contro, bastava che tu alzavi la media o la scendevi a la portavi dove dicevi tu… a quelli li ho fottuti insomma!”.