Ci sono tante donne, nel giro di spaccio scoperto dai Carabinieri a Castellammare del Golfo. Donne in servizio all'ospedale di Castelvetrano che si drogano per il troppo stress. Donne che spacciano. Madri che guardano i loro figli spacciare. Ma anche una donna che si ribella, va dai Carabinieri, e per salvare il marito racconta tutto.
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Il sospetto che il marito era finito nel tunnel della cocaina è diventato certezza quando nella tasca della giacca, la moglie trova dei pezzi di carta arrotolate come cannucce. Per salvarlo la donna decide di rivolgersi ai carabinieri, facendo i nomi di due persone che secondo lei vendevano la droga al compagno: Salvatore Bosco e Massimo Catanzaro. Dalla sua denuncia parte l'indagine che ha consentito ai carabinieri di smantellare una rete di spaccio, ben articolata, a Castellammare del Golfo.
Gli investigatori scoprono che i due nell'attività illecita agivano ciascuno per conto proprio, avvalendosi di stretti e fidati collaboratori, amici e parenti. Salvatore Bosco, peraltro, era già un soggetto noto alle forze dell'ordine, essendo rimasto coinvolto in passato in altre indagini sempre per spaccio. Fa poi parte di un contesto familiare di rilevante spessore criminale. E,' infatti, figlio di Antonino Bosco (classe 1955), oggi detenuto per mafia ad Oristano (è ritenuto stabilmente a disposizione della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, con il ruolo di sicario e di violento esecutore degli ordini della cosca, nonché di cerniere tra la famiglia ed altri soggetti criminali). Ed è fratello di Giuseppe e Giovanni Bosco, entrambi pregiudicati per reati di spaccio, nonché cognato di Sebastiano Bussa, pregiudicato per reati di mafia e da poco tornato in libertà dopo una lunga detenzione in carcere.
Nell'attività si spaccio, secondo quanto emerso dalle indagini, Salvatore Bosco si avvaleva anche della collaborazione della sua convivente, Emanuela Di Bartolo e del figlio che quest'ultima aveva avuto da una precedente relazione: Davide Calabrò, nato nel 2000. Un giovane rovinato, perchè Calabrò diventa il più stretto collaboratore di Bosco. A venti anni già spaccia, sa dove sono i nascondigli della droga (ad esempio nella rampa che da Castellammare porta all'autostrada A29), coltiva cannabis. E finisce per drogarsi anche lui. Bosco, invece, non fa uso di stupefacenti. E persino la madre, Emanuela, si preoccupa per il figlio, tanto da avere un'animata discussione con il compagno, ripresa dalle microspie dei carabinieri: "Di nuovo davanti a mio figlio? L'altra volta non mi è piaciuta tanto sta cosa ..." si lamenta lei. E lui cerca di zittirla: "Non rompere la minchia". Ma la donna insiste: "Ultimamente sa troppe cose, sembra un professore" dice, parlando delle "competenze" che sta maturando il figlio con la compiacenza del "patrigno". E Bosco: "Si, un professore di biologia". Ma la madre ha la sensazione che il figlio, continuando a spacciare, comincerà a chiedere droga per se: "Il mio problema è se la va a cercare dagli altri...".
Salvatore Bosco poteva anche contare sull'apporto di amici fidati come Ivan Ferro e Pietro D'Aguanno e del pescatore Giuseppe Di Bona. Quest'ultimo, assieme a Salvatore Bosco e Davide Calabrò, si occupava della gestione e della coltivazione di nove piante di canapa indiana, occultate in un appezzamento di terreno di Alcamo, di proprietà della moglie.
Dalle risultanze investigative e poi emerso che Salvatore Bosco si riforniva di droga da Domenico Belmonte e Gabriele Piazza, entrambi residenti nel quartiere Zen di Palermo.
Il profilo criminale di Salvatore Bosco è di assoluto rilievo. I suoi precedenti penali non lo hanno scalfito, anzi, ha continuato ad allargare il suo giro, arrivando fino a Palermo, e continua a spacciare pure durante il lockdown: vendeva cocaina a 70 euro al grammo, e al telefono, chi lo contattava parlava di "caffè".
Massimo Catanzaro, anche lui soggetto molto conosciuto a Castellammare del Golfo, deve anche rispondere di estorsione. Sostenendo di essere in possesso di un audio compromettente si sarebbe fatto consegnare prima 500 euro e poi altre 250 euro da un dipendente pubblico, sposato, che aveva avuto un rapporto sessuale con un giovane rumeno. Qualora si fosse rifiutato di pagare, l'audio sarebbe arrivato alla moglie.
Un ruolo importante nell'attività di spaccio lo svolgeva Emanuela Di Bartolo. La donna, assieme al marito, in più di una circostanza avrebbe ceduto cocaina ad un medico donna in servizio all'ospedale di Castelvetrano.
“Vieni a prenderti i finocchi, ce n'è un contenitore e ancora sono buoni”, dice Emanuela Di Bartolo, parlando al telefono con il medico. Per gli investigatori con il termine “finocchi” si intende la cocaina. In un'altra conversazione, invece, Emanuela Di Bartolo parla di sigarette: “Ti ho comprato le sigarette, essendo che sei buttata in ospedale”. Insomma, le due donne utilizzano un linguaggio criptato, ma il riferimento è sempre alla droga.
Ascoltata dagli inquirenti, il medico donna ammette: “Quando avevo bisogno di una dose li contattavo. Rispondeva quasi sempre Emanuela. Utilizzavo con lei un linguaggio criptico: ho la ricetta pronta. Oppure si parlava delle pillole per il padre per rappresentarle la mia necessità di avere lo stupefacente. Andavo, quindi, a casa sua o ci vedevamo fuori”. Le dosi il medico, però, non le pagava. Erano la contropartita per le prestazioni mediche fornite ai due pusher in forma gratuita.
Tra i clienti di Bosco anche un dentista: “Portami mezzo chilo di pane”. Anche lui, però, non pagava la droga, in cambio di prestazioni odontoiatriche.
Il blitz dei carabinieri ha stroncato la rete di spaccio. In carcere sono finiti Salvatore Bosco, 40 anni, Emanuela Di Bartolo, 43 anni, Davide Calabrò, 21 anni, Giuseppe Bosco, 48 anni, Massimo Catanzaro, 50 anni, Lorenzo Poma, 34 anni, Domenico Bellomonte, 26 anni, Gabriele Piazza, 35 anni. Arresti domiciliari per Marco Sciabica, 44 anni, Dario La Puma, 28 anni, Antonina Latona, 25 anni, Angelo Adragna, 27 anni, Sebastiano Domingo, 27 anni, Antonino Maragliotti, 31 anni, Salvatore Ferrara, 46 anni.
Obbligo di dimora per Giuseppe Di Bona, 54 anni, Ivan Ferro, 31 anni, Pietro D’Aguanno, 47 anni, Florin Beni Cucu, 23 anni, Alberto Amato, 29 anni.
La droga veniva chiamata in diversi modi: uova, mangime per galline (in un contesto in cui queste espressioni non significavano nulla ...), ed ancora cocktail, motorino, "Peter Pan". Un'altra espressione molto usata è "bottiglia di acqua fresca". E se qualche dubbio ci poteva essere, annotano gli investigatori, va detto che le persone intercettate parlavano di acqua fresca, si, ma la misuravano ... in grammi.