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24/03/2022 07:09:00

Mafia, processo Scimonelli. Clemenza parla del suo attentato 

"All’indomani dell’attentato incendiario che ha distrutto la mia auto e il prospetto della mia abitazione, uno dei primi a dirmi di essere dispiaciuto fu Tonino Catania, poi arrestato e condannato nell’operazione Golem 2”.

E’ quanto ha raccontato, in Tribunale, a Marsala, l’imprenditore Nicola Clemenza, una delle parti civili nel processo al 54enne partannese Giovanni Domenico Scimonelli, ritenuto un elemento di spicco negli organigrammi di Cosa Nostra belicina.

Il presunto boss deve difendersi dalle accuse di associazione mafiosa (per cui è già stato condannato, a Palermo, nel processo “Ermes”) ed estorsione. A difenderlo sono gli avvocati Calogera Falco e Luca Cianferoni. Ad accusarlo sono due presunti ex gregari: Nicolò Nicolosi, di Vita, e Attilio Fogazza, di Gibellina, poi pentitisi, che nel settembre del 2020 sono stati condannati, in abbreviato, per mafia e per gli attentati incendiari dei quali si sono autoaccusati, affermando di averli compiuti su ordine di Scimonelli. Nicolosi e Fogazza hanno dichiarato di essere gli autori di una serie di attentati incendiari eseguiti, tra il 2008 e il 2012, contro imprenditori e professionisti della Valle del Belice. Una delle intimidazioni i più eclatanti fu proprio quella ai danni di Nicola Clemenza, presidente di Libero futuro antiracket di Castelvetrano, a cui, a Partanna, fu incendiata l’auto parcheggiata davanti casa la notte precedente l’inaugurazione di un consorzio di agricoltori di cui era promotore.

Clemenza è una delle otto parti civili e, in aula, rispondendo alle domande del pm della Dda Pierangelo Padova, del presidente Saladino, dell’avvocato Falco e del suo legale, Giuseppe Accardo, ha raccontato le fasi di quella drammatica notte in cui subì la grave intimidazione. “Le fiamme – ha affermato – minacciavano di entrare dentro casa. Mia moglie si voleva gettare dal balcone sull’altro lato della casa insieme alla nostra bambina, che aveva un anno e mezzo. Il consorzio, al quale avevano aderito 120 agricoltori, dava fastidio alla mafia. E infatti successivamente molti si defilarono”. E dopo un primo periodo di attività, il consorzio fu costretto a chiudere i battenti.

Ascoltati anche il mazarese Andrea Ingargiola, che a Partanna era direttore di una banca (anche a lui fu incendiata l’auto), l’imprenditore Severino Lazzara (tre auto a fuoco) e Livia Accardi, che ha denunciato il tentato incendio del portone d’ingresso dello stabile di Santa Ninfa dove abita. Nel corso della sua deposizione, la donna ha affermato che non è affatto vero che Melchiorre Saladino (imprenditore salemitano arrestato nell’operazione “Eolo” e poi assolto, ndr) è stato suo compagno. La circostanza era stata riferita, nella precedente udienza, dal commissario di polizia Angelo Palumbo, che ha detto che dagli accertamenti svolti dopo l’incendio del portone era emerso che la donna era stata legata sentimentalmente al Saladino. “Avevo un rapporto di convivenza con un altro uomo” ha puntualizzato la Accardi.

Infine, sono stati ascoltati alcuni investigatori che hanno indagato sui fatti oggetto del processo.