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03/05/2022 06:00:00

Mafia. Scrivere che Calcara è un falso pentito non è reato, assolto Gian Joseph Morici

 Assolto. In un articolo aveva definito Vincenzo Calcara un “falso pentito” e lui l’aveva denunciato per diffamazione. Ma il processo contro Gian Joseph Morici, giornalista ed editore de “La Valle dei Templi”, è terminato lo scorso 28 aprile con la sentenza assolutoria della giudice monocratica Fulvia Veneziano: “Il fatto non costituisce reato”.

E se l’articolo (che potete leggere qui) non era diffamatorio, la credibilità dell’ex pentito, già da tempo in discussione, sembra essere ormai completamente demolita.

Essere un falso pentito però, nel caso di Calcara, non equivarrebbe a dire di essere ancora un mafioso convinto. Morici ha sempre messo invece l’accento sul fatto che non sarebbe mai stato un uomo d’onore. E quindi non avrebbe avuto nulla di cui pentirsi, al netto dei benefici previsti per i collaboratori di giustizia.

La sua storia di avere avuto un ruolo di “uomo d’onore riservato” alle dipendenze del boss Francesco Messina Denaro non ha retto.

 

Tra i testi principali di questo processo, c’era il magistrato Massimo Russo, in passato in prima linea contro la mafia trapanese e oggi al Tribunale per i minori di Palermo. Secondo Russo, la “storiella sulla sua presunta affiliazione” come uomo d’onore  riservato è una “ricostruzione completamente estranea ai canoni dell’organizzazione mafiosa”.

Il concetto è stato approfondito anche con due collaboratori di giustizia: Vincenzo Sinacori e Giuseppe Milazzo.

Il primo teste ha sottolineato chiaramente come all’epoca della presunta affiliazione del Calcara (1979) gli uomini di onore riservati non esistevano nemmeno, dal momento che sono nati dopo le prime collaborazioni, quando “si incominciò a stringere il cerchio… cercando di non presentare tante persone…”.

 

Milazzo invece, rispondendo all’avvocato della parte civile, ha detto che Francesco Messina Denaro, nell’ultimo periodo, avrebbe anche potuto investire un soggetto come uomo d’onore riservato però “in Cosa Nostra non era una cosa giusta; non credo che Messina Denaro Francesco faceva una cosa di quelle”. Poi, ha aggiunto, “se il muratore Messina Francesco (Mastro Ciccio, ndr), con altri parlavano di lui (Calcara, ndr) e dicevano che era un frariciume, non credo che si pronunciavano così se sapevano, o capivano, che era uomo riservato”.

 

Al di là delle personali valutazioni riportate da Milazzo, emerge con forza come la figura dell’uomo d’onore riservato sia nata anni dopo il ’79, ovvero dopo l’inizio delle collaborazioni dei mafiosi (quelli veri), con lo scopo di limitare il pentitismo che già aveva prodotto dei danni considerevoli dentro Cosa nostra.

Il giornalista ha ringraziato su facebook il suo difensore Santino Russo e tutti coloro che gli sono stati vicino, mettendo l’accento sui “tanti rischi che si corrono nel fare informazione”.

Ha poi aggiunto che “nonostante la soddisfazione per l’esito processuale, rimane infatti l’amarezza di chi si vede costretto a varcare la soglia di un Tribunale soltanto per aver osato offrire ai propri lettori una realtà diversa da quella proposta da tanti altri organi stampa che per diversi decenni non avevano tenuto in alcun conto neppure importanti sentenze”.

 

Mesi fa Gabriele Paci, pm di Caltanissetta al processo sulle stragi del 92 contro Matteo Messina Denaro (condannato perché tra i mandanti delle bombe di Capaci e via D’Amelio) aveva definito Calcara un “Pentito eterodiretto ed inquinatore di pozzi”.

Ma chi lo dirigeva? E perché?

Forse, dopo questa sentenza che ha assolto chi lo aveva chiamato “falso pentito”, sarebbero necessarie delle risposte.

 

Egidio Morici