I mafiosi volevano rubare il Satiro di Mazara per poi rivenderlo al migliore offerente. C’è anche questo episodio nelle pagine del decreto di confisca dei beni ai danni di Gianfranco Becchina. Mercante d’arte, che per anni è stato accostato alla famiglia mafiosa Messina Denaro. A Castelvetrano tutti lo conoscono. Ma Becchina era riuscito ad uscire indenne da tutti i procedimenti a suo carico. Terminiamo oggi il nostro viaggio a puntate su uno dei personaggi più discussi a Castelvetrano.
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Si parla anche del furto del Satiro danzante di Mazara del Vallo, nel decreto di confisca dei beni per 10 milioni di euro a Gianfranco Becchina.
A parlarne è Mariano Concetto, pentito della famiglia mafiosa di Marsala. Concetto nel corso degli anni ha reso dichiarazioni nel corso di diversi processi sull’interesse dei vertici del mandamento mafioso di Mazara del Vallo di trafugare il Satiro.
Inizialmente Concetto non ricordava di aver mai conosciuto Becchina, ma “sapeva che cosa nostra
e Matteo Messina Denaro si occupava di traffico di reperti archeologici potendo contare su appoggi in Svizzera”.
Concetto stesso era stato coinvolto, a fine anni novanta, su ordine di Andrea Mangiaracina, all’epoca capo mandamento di Mazara e latitante, nel progetto di rubare e vendere il Satiro. L’ordine, però, arrivava da più in alto, da Matteo Messina Denaro .
“In gergo nel nostro ambiente il Satiro veniva detto ‘pupo’”, racconta Concetto.
Mangiaracina avrebbe spiegato che dopo il furto il reperto sarebbe stato piazzato sul mercato illegale delle opere d’arte direttamente da Matteo Messina Denaro attraverso canali svizzeri sui quali il boss poteva contare. A dire del boss, dopo due tentativi di furto non riusciti il progetto di rubare il Satiro sarebbe stato abbandonato da cosa nostra.
Mariano Concetto, poi, ricordava di aver sentito parlare di Becchina da Gaspare Como e Rosario Allegra, cognati di Matteo Messina Denaro, durante un incontro a Castelvetrano per pianificare una rapina.
Per il furto del Satiro sarebbero stati dati 200 milioni di vecchie lire a testa ai partecipanti, racconta il pentito marsalese. Concetto, comunque, non dà nel suo interrogatorio una indicazione precisa di Becchina. Non dice chiaramente che se fosse andato in porto il furto, il Satiro sarebbe andato da Becchina. Ma parla solo di canali svizzeri.
E in Svizzera Becchina conservava un tesoro.
Nel 2001 era stati coinvolto in un'indagine della Procura di Roma, perché ritenuto a capo di un’organizzazione criminale dedita, da oltre un trentennio, al traffico internazionale di reperti archeologici, per la gran parte provenienti da scavi clandestini di siti italiani, esportati illegalmente in Svizzera per essere successivamente immessi nel mercato internazionale, anche grazie alla complicità dei direttori di importantissimi musei stranieri.
In cinque magazzini a Basilea erano custoditi migliaia di reperti archeologici risultati provenienti da furti, scavi clandestini e depredazioni di siti, oltre che un archivio con più di tredicimila documenti (fatture, lettere indirizzate agli acquirenti, immagini fotografiche di reperti) sui traffici. Le opere d'arte furono sequestrate. Qualche anno fa i 5.361 reperti archeologici dal valore di circa 50.000.000 di euro, sono stati definitivamente restituiti allo Stato, al termine di una complessa indagine e vicenda giudiziaria internazionale. I beni risalenti a un vastissimo arco temporale, compreso tra il VIII sec. a. C. e il III sec. d. C., provenivano da scavi clandestini effettuati in diverse regioni d'Italia: Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia".
Becchina uscì indenne dal processo per prescrizione.
Una delle tante indagini che l’ha coinvolto. Un mercante d’arte, con la passione per l’olio d’oliva, mai condannato per mafia, ma i cui legami con esponenti mafiosi sono stati sempre sotto la lente della magistratura. Legami che hanno portato alla confisca dei beni per 10 milioni di euro.
Fine
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