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24/06/2022 06:00:00

Lo scisma dei Cinque Stelle e la sopravvivenza alle elezioni 2023...

 La politica è scelta, è capacità di decidere dove stare e con chi stare, quale strada programmatica seguire e con chi allearsi. Le scissioni ci sono sempre state e quella di Luigi Di Maio dal Movimento Cinque Stelle non sarà l’ultima, ciò che appare uno scoop è in politica all’ordine del giorno, semmai il problema è ancora un altro: chi sopravviverà alle elezioni nazionali del 2023?

I partiti satellite relegati al 2% sono tanti, una corsa in solitaria li consegnerebbe ad un rischio troppo grande, sarebbero troppi i parlamentari non eletti e, allora, bisognerà per forza scegliere da che parte stare. E c’è chi sceglierà alla fine, tenendosi le mani libere, è questa l’accusa che fa Carlo Calenda a Matteo Renzi, e Calenda una strada la sta seguendo che è quella più difficile, più ostica e non popolare: crearsi la sua di scelta non marcando a vista i partiti, come già fece un tempo Giorgia Meloni, rosicchiando terreno e consenso agli alleati e poi arrivando a percentuali degne di nota. Perché, è inutile girarci attorno, il cittadino oggi ha bisogno di una proposta chiara, riconoscibile, che sia quella che è ma che non giochi al fuggitivo o a tatticismi che servono solo a salvare la poltrona.

Quanto vale una scissione? Vale il rischio di essere oggi ancora Ministro degli Esteri, di essere libero di correre alla prossima tornata, il M5S prevede un massimo di due mandati, vale la capacità di organizzare un gruppo di 60 parlamentari e di pensare di essere differenza, dal “Parlamento aperto come una scatoletta di tonno” al “La poltrona non si lascia” è stato un attimo, in questo aveva ragione Giulio Andreotti: “Il potere logora chi non ce l’ha”.

Carlo Buttaroni, presidente dell'istituto Tecné, in questi anni ha condotto alcune ricerche e il dato è che il consenso sui pentastellati è mutato rispetto al 2018, tenendo presente anche che il M5S non è un partito, dunque, non c’è una struttura solida alle spalle.

Giovanni Diamanti, analista di YouTrend, connota Di Maio sul 3-4 per cento, ma la sua fuoriuscita dal Movimento nell’opinione pubblica ha una presa negativa. Se di Maio guarderà al centro riformista, così come appare dalle manovre di Palazzo, quel centro aspirerà sempre al 2-3%, non apporterà alcun valore aggiunto.

“Insieme per il futuro”, un nome che non è nuovo ma utilizzato nelle varie amministrative oltre 50 volte, potrebbe diventare un brand, le scissioni ai vari leader non ha mai portato bene, si ricordi a memoria l’epilogo di Gianfranco Fini.
A non rilasciare alcuna dichiarazione è Beppe Grillo, sono finiti i tempi del vaffa-day, finiti i tempi in cui aizzava le folle contro la vecchia politica attaccata ai benefici del potere, che non andava mai a casa. Sono finiti anche i tempi in cui il M5S incassava consensi e andava sopra il 38%. Parabola discendente.