Non c'è Cosa nostra dietro la scalata impreditoriale della famiglia Rappa, ad iniziare dal capostipite Vincenzo, proseguendo con i figli e i nipoti. Le imprese non erano colluse, e non c'è stata l’immissione di soldi di provenienza illecita.
La Corte di Appello per le misure di prevenzione restituisce quasi integralmente i beni agli imprenditori Rappa. Una grossa fetta era già stata dissequestrata in primo grado. Ora si aggiungono alla lista altri pezzi importanti del patrimonio.
La decisione dei giudici è dello scorso maggio. Non ha retto la ricostruzione della Dia. Il sequestro per i Rappa è del 2014, quando il presidente delle Misure di prevenzione era ancora Silvana Saguto, condannata in appello e ora di nuovo sotto inchiesta a Caltanissetta per corruzione in atti giudiziari e falso.
Nel 2018 in primo grado il Tribunale aveva confiscato gran parte dei beni di Vincenzo Rappa (fra cui le imprese Vincenzo Rappa snc, Villa Heloise Costruzioni, Cipedil e Gei Generali Imprese) e restituito quelli che appartengono ai figli Filippo, Sergio e Maurizio, e ai nipoti Vincenzo, Vincenzo Corrado e Gabriele. Tra i beni dissequestrati c’erano pure l’emittente televisiva Telemed e le concessionarie d'auto Nuova Sport Car.
Vincenzo Rappa fu vittima del pizzo mafioso e “per operare nell’edilizia ha dovuto soggiacere alle indebite pretese del sodalizio mafioso” , così stabilirono i giudici nel processo penale. Agli inizi degli anni Novanta, però, Rappa strinse un rapporto di fiducia con i boss Ganci, Madonia e Galatolo. Ma furono poche le attività edili aperte in questa seconda fase. E sono gli unici immobili per cui è scattata la confisca anche in secondo grado. Il capostipite è stato condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, ma c'è pendente un ricorso davanti alla Corte di giustizia europea presentato dai familiari che con nel processo di revisione hanno avuto annullata la condanna riguardo al riciclo dei soldi della mafia.