Parla Calcedonio Di Giovanni, l'imprenditore 82enne di Monreale, si è deciso a farlo dopo le ultime sentenze a suo carico, una lo scorso aprile, quando la Corte di Cassazione gli ha confiscato definitivamente beni per cento milioni di euro, e l'altra più recente, a fine maggio, quando è arrivata, invece, l'assoluzione dall’accusa di bancarotta fraudolenta.
Di Giovanni dice la sua versione e con una lettera aperta si difende dalle accuse di contiguità con la mafia. Parla della natura del suo patrimonio e in particolare di quello realmente confiscato. Di Giovanni parla anche delle "presunta" vicinanza al boss Buzzotta, che dice di non aver mai conosciuto, ma anche del boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate; la villetta che lo si accusa di aver ceduto al capo mafia mazarese, in realtà, dice, Di Giovanni, lui l'ha ceduta ad un certo Mannone di Torino, nel 1979. E poi il capitolo Roberto Palazzolo: l'uomo di Cosa nostra, per il quale, sempre secondo l'accusa, il monrealese avrebbe riciclato il denaro, investendolo sul villaggio vacanze a Kartibubbo.
La vera entità del patrimonio - "Preliminarmente vorrei fare qualche breve, ma importante, precisazione in merito all’esatta entità del patrimonio oggetto di confisca - così inizia Di Giovanni la sua lettera -. Nel 2014 era stato quantificato in 450 milioni di euro dalla Dia, per poi essere comunicato, nel 2016, di “soli” 100 milioni. Ritengo, però che vada reso noto il reale ammontare del patrimonio immobiliare in poco più di 10 milioni di euro. Una stima effettuata non da me, ma dal dottore commercialista Luigi Antonio Miserendino e dall’avvocato Roberta Paderni, vale a dire i due professionisti nominati dal tribunale per la gestione giudiziaria del sequestro nell’aprile 2015. Di questi 10 milioni di euro, peraltro, il valore reale non supera i 4, dal momento che, ad oggi, una sola società è attiva, la “Compagnia Immobiliare del Titano”. Le altre sono tutte in liquidazione o fallite".
"Non sono mai stato indagato per mafia" - "Quanto alla mia presunta vicinanza o “contiguità” con la mafia, affermo di non aver mai avuto alcun rapporto con essa e che questa possa essere catalogata come un romanzo, dal momento che non sono mai stato indagato per mafia, accusato, né tantomeno imputato di nulla", così continua Di Giovanni.
"Non conosco il boss Buzzotta" - "Sono stato “dipinto” come pericoloso, ma non c’è assolutamente alcuna attinenza temporale tra l’acquisizione del patrimonio e questa presunta pericolosità - così prosegue il suo racconto l'imprenditore rigiardo alla sua presunta contiguità con la mafia - . Tra i comportamenti “incriminati” ci sarebbe quello di una mia vicinanza al boss Buzzotta di Mazara del Vallo, possessore di un monovano dell’Hopps Residence che era di proprietà di mia moglie, che era stato ceduto a tale geometra Stradella, negli anni ’80 e soltanto poi da questo ceduto a Buzzotta, che io peraltro non conosco".
Il boss Mariano Agate - "Nel mirino è finita pure la cessione di una villetta a Kartibubbo al boss Mariano Agate, forse volutamente dimenticando che io la cessione la effettuai a, tale, dottor Mannone di Torino, nel 1979, che a sua volta cedette ad Agate, con il quale, pertanto, io non ho mai avuto alcun dialogo. La mia presunta appartenenza alla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo si fonda, pertanto, su questa impalcatura, che non si regge in piedi".
Un capitolo della sua lettera Di Giovanni lo dedica alla nascita delle sue attività imprenditoriali - Sono stato etichettato, inoltre, come “dominus” e come “oscuro impiegato regionale”. Ritengo, però, sia il caso di precisare come io non sia mai stato né solo, né tantomeno oscuro. Ero un imprenditore valente ed affermato già nel 1969, che agiva assieme ad altri, in un gruppo solido e ben avviato con capitale sociale di 100 milioni di lire che per i tempi (1972) erano una cifra considerevole, tanto da poter lasciare l’impiego direttivo regionale. Non ero un personaggio oscuro, ma un personaggio pubblico, noto soprattutto a Mazara, dove ero pure il presidente della squadra di calcio nel 1973-74.
"Ero in rapporti con Roberto Palazzolo, poi non l'ho più visto" - Così invece conclude Di Giovanni la sia lettera riguardo alla conoscenza con Roberto Palazzolo con cui era entrato in affari ma che in seguito quando si trasferì in Sudafrica e divenneun trafficante di droga e diamanti non vide mai più: "Nel 1974 ho avuto rapporti con Roberto Palazzolo, che in quel tempo non era mafioso, attraverso la “Campobello Park Corporation” di cui era presidente. Poi dopo circa 20 anni Palazzolo diventò un trafficante di droga e diamanti in Sudafrica, ma non ha più rimesso piede in Sicilia e io non l’ho mai incontrato".
"Le mie attive non sono legate alla mafia" - "Non c'è un’attività, dicasi una, che si possa ritenere come legata alla mafia: sia a Monreale dove operavo con le licenze edilizie del 1974, avviate legittimamente e colpite da atti illegittimi nel 1975 dall’allora commissario straordinario del comune Giovanni Giannuoli, per i quali il comune è stato condannato, che a Kartibubbo, struttura colpita da fermo lavori del 1976 dalla sovrintendenza, altrettanto illegittimamente. Per non parlare poi del blocco cantiere nel 1977 da parte del pretore Dell'Acqua di Monreale al Villaggio Primavera dei fratelli Di Giovanni a Renda - così conclude la sua lettera Di Giovanni -. Altro atto che si è dimostrato illegittimo".
Qui uno speciale di Tp24 su Calcedonio Di Giovanni (prima parte, seconda parte, terza parte).