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27/08/2022 06:00:00

Le elezioni e l'antimafia: la polemica sui candidati

 Cafiero de Raho, Scarpinato con i Cinque Stelle. Rando con il Pd. E poi i classici: Ingroia, che si è fatto un partito tutto suo. Sono tanti i nomi legati al variegato mondo dell'antimafia che scendono in campo in queste elezioni, tra le polemiche. 

I Cinque Stelle, per recuperare consensi, schierano due nomi di peso: l'ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho, e Roberto Scarpinato, ex Procuratore di Palermo. I due sono, di fatto, già eletti, essendo capilista, e Scarpinato proprio in Sicilia, che si candida dice "per senso del dovere".

 Da poco in pensione, Scarpinato aggiunge:  "Non me la sono sentita di restare inattivo di fronte al declino della Nazione, alle ingiustizie e disuguaglianze sociali e a un decadimento verticale della politica che si riflette sulla credibilità dello Stato”. Ancora: "Il Movimento 5 stelle dimostra di non essere integrato e omologato nel sistema di potere dominante e quindi ha la capacità di agire contro tutte le manovre che negli ultimi anni hanno avuto come unico comun denominatore e come risultato quello di garantire in un modo o in un altro l’impunità per i reati dei colletti bianchi, e di ripristinare una giustizia classista forte con i deboli e deboli con i forti. Allo stesso tempo, l’antimafia è importante e centrale per il M5S, basti ricordare che solo grazie alla loro mobilitazione è stato modificato il disegno di legge Cartabia che prevedeva l’improcedibilità di tutti i processi per i reati di mafia puniti con pene diverse dall’ergastolo che non fossero stati definiti entro due anni in grado di appello e entro un anno in Cassazione”.

Polemizza con Scarpinato l'ex collega Antonio Ingroia, oggi leader di Italia Sovrana:  "Roberto Scarpinato si ritrova candidato nelle stesse liste con un altro ex-magistrato, l'ex Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero De Raho, che negli ultimi anni è rimasto famoso soprattutto per l'incomprensibile esclusione di Nino Di Matteo dal "pool stragi" che avrebbe potuto fare luce sulla terribile stagione stragista del '92-'93". Continua Ingroia: "Scarpinato ha ccettato la candidatura proprio da chi, attuale capo politico del M5S, era Presidente del Consiglio quando - per ragioni tuttora oscure - l'allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si rimangiò l'offerta fatta qualche ora prima a Nino Di Matteo di nominarlo a capo dell'Amministrazione Penitenziaria, con conseguente grande sollievo dei mafiosi ergastolani responsabili della stagione stragista appena uscita la notizia del dietrofront di Bonafede".

 

Altro candidato dei Cinque Stelle è Federico Cafiero De Raho, fino ad un anno fa procuratore nazionale antimafia. La sua scelta fa ancora più discutere di quella di Scarpinato. "Ho detto sì perché da esponente della società civile potrò continuare a lavorare per il Paese per battere criminalità e corruzione: che restano il primo ostacolo allo sviluppo sociale, economico, politico e culturale della nazione" spiega. 

A spiegare i limiti di questa candidatura è un avvocato, Bruno Botti, che ha scritto una lettera aperte a De Raho, molto condivisa sui social: " La direzione nazionale antimafia è un organismo di coordinamento e di intelligence nella lotta al crimine organizzato. Nel Suo ruolo Lei è inevitabilmente venuto in possesso di notizie assolutamente riservate e segrete, naturalmente sottratte alla conoscenza di qualsiasi comune cittadino e persino alle alte cariche dello Stato. (…) Per carità, non mi fraintenda: non penso affatto che Lei intenda utilizzare quelle informazioni a scopo politico o, peggio, ricattatorio. Io penso solo quello che – sono certo – pensava anche Lei quando, da cittadino, giudicava il mondo della politica: chi aspira alle più alte cariche istituzionali non deve essere soltanto trasparente e senza peccato, deve anche apparire tale. È così? Mi sbaglio?», si legge nella lettera.

Tra le varie considerazioni, anche una di natura politica legata alla grande questione giustizia. «Davvero non Le crea imbarazzo offrire la Sua immagine di raffinato giurista a chi ciancia di “certezza della pena”, intendendo “certezza del carcere” ed ingannando così i cittadini sulla portata securitaria della pena detentiva, smentita, come Lei sa bene, da innumerevoli e prestigiosi studi statistici? Non la infastidisce essere accomunato a quelli che hanno fondato le proprie fortune politiche al grido “buttiamo le chiavi”? Che hanno ripetuto come un disco rotto “in galera in galera”? Che non hanno perso occasione per dimostrare la propria assoluta mancanza di alfabetizzazione in tema di garanzie di libertà?». E poi. «Vogliamo una volta per tutte finirla con questo stucchevole giochino del più “antimafia del reame” che già tanti danni ha prodotto, quasi quanti la mafia stessa? (…) Sentiva proprio il bisogno di regalare a questa formazione politica l’ennesimo Santino di eroe senza macchia e senza paura, ed essere inserito così nell’album dei testimonial pret a porter da esibire a richiesta nel corso della campagna elettorale?».

Rimane fuori Piero Grasso, che pure si sarebbe voluto candidare. L'ex presidente del Senato aveva dato la sua disponibilità, tra una presentazione e l'altra del suo ultimo libro su Giovanni Falcone, ma nessuno, nel centrosinistra l'ha colta. In suo soccorso arriva il messaggio della sorella del magistrato, Maria Falcone, che parla, a proposisto della sua mancata candidatura, come di "un calo di attenzione nella lotta alla mafia". E aggiunge: "Non candidare chi ha fatto scelte coraggiose per difendere lo Stato e le istituzioni esponendosi a rischi gravi, 'escludere' chi può dare un contributo fondamentale nella politica di contrasto alle mafie è un segnale pericoloso. E sappiamo tutti che le mafie vivono anche di segnali. Parlare e riempirsi la bocca di proclami non basta. Al Paese servono i fatti".

Forza Italia invece candida Rita Dalla Chiesa. Presentatrice televisiva e volto noto di Mediaset, Dalla Chiesa è figlia del Generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia a Palermo 40 anni fa. L'ex premier Silvio Berlusconi rivendica la scelta di puntare su  Dalla Chiesa, "un volto noto della tv, molto amato", ma anche "figlia di un padre ucciso dalla mafia, il che ne fa un simbolo dell'impegno nella lotta alle mafie".

 Il Pd, infine, candida in quota "Don Ciotti" la vice presidente di Libera, l'avvocato Enza Rando. "Una una riflessione sulle conseguenze che questa candidatura comporta sulla indipendenza della associazione antimafia Libera credo debba essere fatta. Il Codice etico di 'Libera associazioni nomi e numeri contro le mafie' approvato dall'Ufficio di Presidenza ad aprile 2021, sul tema del pluralismo politico parla chiaro. "Libera non interferisce nelle scelte politiche dei suoi soci e socie, operatori e operatrici, collaboratori e collaboratrici a qualsiasi titolo: su questo terreno valgono i principi di rispetto della libertà individuale e l’apertura al confronto con le diverse culture di cui le scelte dei singoli sono espressione. Al tempo stesso, Libera esige comportamenti che non mettano a rischio il pluralismo dell’Associazione, evitando in modo scrupoloso ogni atto o situazione che possa comprometterne la natura e l’immagine di organismo a-partitico che aderisce ai valori fondanti della Costituzione della Repubblica". Un principio condivisibile fissato per tutelare la natura apolitica e trasversale della lotta alle mafie, ma allo stesso tempo un principio che mi pare contrasti con una candidatura della vicepresidente nazionale, Enza Rando, nelle fila del Pd. Già in passato Rando aveva goduto di incarichi nell’orbita del centrosinistra (dal consiglio della Fondazione Cassa Rispermio di Modena a consulenze per la Regione guidata da Bonaccini) ma la candidatura organica è un vero cambio di passo. Credo a questo punto sia giusto che il Pd chiarisca il contesto nel quale è maturata la candidatura della dottoressa Enza Rando e se la dottoressa intenda o meno mantenere il suo ruolo di numero due di don Luigi Ciotti. Allo stesso modo mi aspetto di sapere quale sia la posizione di Libera su tale candidatura. Ne va della autorevolezza e della indipendenza della nota associazione antimafia affinchè possa continuare, senza interferenze di parte, la lotta per la legalità e nel contrasto alle mafie. Io stesso nel mio mandato parlamentare sono stato responsabile del dipartimento legalità della Lega e so perfettamente quanto sia importante non dividersi sul tema della lotta alle mafie che deve essere un valore comune a tutti e non una bandiera elettorale. La sinistra in nome di una immotivata sedicente superiorità morale intende la trasversalità in modo bizzarro: si è trasversali solo quando si è organici al Pd". Così il senatore Lega Stefano Corti