La condanna definitiva per maltrattamento di animali nei confronti della castelvetranese Liliana Signorello è la punta di un iceberg. C’è infatti una realtà sommersa fatta di domande che non hanno mai ricevuto risposta e che coinvolgono in maniera diretta le istituzioni.
Certo, è una sentenza storica arrivata in cassazione dopo sette anni di battaglia legale, che farà giurisprudenza in materia di detenzione di animali. E che di fatto certifica come il maltrattamento non avvenga soltanto se l’animale viene picchiato o lasciato senza cibo, ma anche quando vengono a mancare le necessarie cure veterinarie e l’attenzione al loro ambiente di vita.
Questa però non è la solita storia della vecchietta accumulatrice che si riempie la casa di animali randagi trovati in giro e ad un certo punto non riesce più a gestirli.
A Castelvetrano è accaduta una cosa molto diversa, rimasta fuori dall’interesse pubblico perché non rientrata nel procedimento giudiziario, fondato invece sul reato di maltrattamento a carico di una sola persona. L’ultimo anello.
Ma quei cani, alla presidente dell’associazione animalista Laica glieli aveva dati il comune, concordando un contributo economico giornaliero. Erano stati spostati dal canile municipale per permettere dei lavori di adeguamento della struttura.
Per comprendere appieno questa vicenda occorre però partire dall’inizio.
LA NASCITA DEL CANILE E LA GESTIONE, VINTA CON L’1% DI RIBASSO
Liliana Signorello fonda l’associazione animalista Laica nel 2005. Nell’agosto del 2006 viene istituito il canile di Castelvetrano, che da subito gestirà insieme all’amministrazione comunale di allora, aggiudicandosi sempre le gare d’appalto con ribassi dell’ordine dell’1%, essendo sempre l’unica partecipante.
Nel 2010, a sorpresa, vince un’altra associazione: Naturamica, rappresentata da due cacciatori, Lucio Sciortino e Valerio Ingoglia che, se l’aggiudicano avendo offerto un ribasso del 16% su una base d’asta da 130 mila euro. Ma la Laica della Signorello ricorre al Tar e alla fine il comune annulla quel bando e ne fa un altro. Stavolta da 75 mila euro. A questo punto vincerà la Laica con un ribasso del 41,90%. Poco meno di 43 mila euro.
Nel 2011 la gestione dell’associazione animalista è confusionaria, i volontari sul posto sono quasi inesistenti e le decisioni vengono sempre prese d’imperio dalla presidente. Il numero dei cani arriva a superare il triplo della capienza possibile, trattenuti in promiscuità sia nei box che liberi, nelle aree di sgambetto e perfino negli uffici, con tutte le conseguenze in termini di benessere degli animali da un lato e di carenze igienico sanitarie dall’altro.
I CANI DEL CANILE TRASFERITI DAL COMUNE NEI RIFUGI ABUSIVI
Nel giugno del 2012, su denuncia dell’Asp, i carabinieri del NAS di Palermo sequestrano il canile comunale, formalmente a causa di carenze strutturali e mancate autorizzazioni. Nasce allora l’esigenza di liberare la struttura dai cani, in modo da permettere i relativi lavori di adeguamento per la riapertura.
Nel marzo del 2013 l’allora sindaco Felice Errante, con un’ordinanza, dispone il trasferimento di tutti gli animali, destinandoli alla custodia temporanea di tre associazioni: Naturamica, Casa Carimi e appunto la Laica. 90 esemplari. 30 ciascuno, con un contributo di 2 euro al giorno per animale.
I conti però non tornano, in realtà la struttura ne ospita più di 200, compresi anche i cani in cura per particolari patologie, dei quali, nel trasferimento sparisce ogni traccia.
Il 30 di marzo, in un canile dominato dal disordine e dall’incertezza, succede qualcosa: un furto con scasso. Nella notte qualcuno entra nella struttura rompendo una finestra, tira giù le videocamere di sorveglianza, forza gli armadietti e porta via tutti farmaci, ma anche alcuni sacchi di croccantini ed una idro pulitrice. Facendo attenzione a portar via anche l’unità di registrazione delle videocamere. Qualcuno che certamente sapeva dove mettere le mani e che non verrà mai identificato.
Il 15 aprile 2013 avviene il trasferimento. E’ un lunedì mattina strano. Il cancello della struttura viene aperto dalla stessa Signorello e insieme alle altre due associazioni cominciano i viaggi. Sul posto non c’è l’ombra di un rappresentante dell’amministrazione comunale, né dell’Asp. Non c’è un veterinario per i cani malati. Non ci sono registri. Nessuna annotazione del numero di animali e, soprattutto, nessuna trascrizione di microchip. Anzi, tanti non ce li avevano proprio.
Ma i cani della struttura non sono 90, sono più del doppio. Ed appena due mesi dopo Errante aggiusta il tiro con un’altra ordinanza che sostituisce la precedente: 70 cani a Naturamica, 70 a Casa Carimi e 130 alla Laica, per un totale di 270 unità.
Dopo due giorni esce una terza ordinanza, contingibile ed urgente per l’incolumità, la sicurezza e la salute pubblica, che ordina con decorrenza immediata all’associazione Naturamica di procedere all’accalappiamento dei cani randagi presenti nel territorio. Ne avrebbe potuti prelevare fino ad un massimo di 30, trasportandoli nei rifugi delle tre associazioni.
Rifugi che però sono abusivi. E infatti nel febbraio del 2014 vengono sequestrati dai carabinieri del Nas di Palermo. A Naturamica, cui erano stati affidati 70 cani, gliene trovano 24. Gli altri 46, così dichiara Sciortino, li aveva dati a Liliana Signorello. Ma senza documentazione, senza firme, senza ricevute. Figuriamoci.
I sequestri sono di tipo amministrativo, ma non impediscono al comune di Castelvetrano, per gli anni 2013 e 2014, di destinare per il ricovero dei randagi in quei tre rifugi la somma di 300 mila euro, di cui 150 mila alla Signorello.
Insomma, i cani aumentano. Soprattutto nei rifugi della Laica, continuano ad arrivare randagi prelevati da diversi quartieri della città. La preoccupazione di diversi animalisti cresce, così come le richieste sulla salute degli animali da parte dell’Enpa locale al comune e all’Asp.
Quando anche istituzionalmente si intuisce che la situazione sta diventando esplosiva, l’allora dirigente del Dipartimento Prevenzione Veterinaria dell’Asp, Luigi Mauceri, dispone un monitoraggio delle condizioni degli animali presso i rifugi delle tre associazioni, che intanto erano stati dissequestrati.
PIU’ DI 300 CANI
Riescono a censire 304 cani: 47 presso Casa Carimi, 12 da Naturamica e ben 245 nei due rifugi della Laica. Certo, non è un’operazione facile, anche perché la collaborazione della Signorello non è il massimo e i veterinari dell’Asp sono pochi. Ecco perché il monitoraggio durerà dall’ottobre 2014 alla fine di maggio del 2015. E nella relazione, Mauceri certifica che la maggior parte degli animali di tutti i rifugi sono in “uno stato di salute precario… perché affetti da diverse patologie, talune di carattere zoonosico, col rischio di contagio per altri animali e per le persone che li frequentano” e chiede al primo cittadino di emanare un provvedimento “al fine di impedire ulteriori ingressi di cani presso le medesime strutture e obbligare le associazioni a monitorare con appositi registri di carico e scarico le eventuali variazioni del numero di cani avvenute per cause varie (decessi, nascite, scomparse)”.
Richiesta che cade nel vuoto.
Tre mesi prima, l’avvocato Claudia Ricci dell’Enpa nazionale aveva anche fatto un esposto alla procura della Repubblica, chiedendo di accertare “le procedure con le quali il Comune ha affidato i cani ai rifugi privati (Laica, Naturamica, Casa Carimi) e, qualora non sia stato rispettato il corretto iter, le motivazioni di ciò”. Aveva chiesto anche di indagare sulle “variazioni numeriche degli animali ospitati nei rifugi privati, specificando il numero dei nuovi cuccioli; il numero e le modalità di smaltimento degli animali deceduti (con relativi microchip); le patologie rilevate e gli interventi veterinari effettuati”.
Anche questa richiesta cade nel vuoto.
IL SEQUESTRO, I TRASFERIMENTI E LA CONDANNA PER MALTRATTAMENTO
Nel settembre del 2015 tornano i Nas di Palermo. I rifugi della Laica, già sequestrati amministrativamente, questa volta subiscono un sequestro penale: i militari, trovano la maggior parte degli animali in stato di sofferenza e pessime condizioni igienico sanitarie. Alcuni vengono trovati morti. Sono 150 in tutto. Un numero molto diverso dai 245 che l’Asp aveva registrato appena tre mesi e mezzo prima. Ne mancano quasi 100. Senza nome, senza microchip. Non verranno mai trovati.
Ad essere trasferiti in un canile privato (e autorizzato) a spese del comune, saranno 200 cani. Si sceglierà di trasferirvi anche quelli delle altre due associazioni. Mentre la Signorello finisce a processo per maltrattamento di animali.
Nel 2020 viene assolta in primo grado, con un una singolare sentenza che ignora relazioni, fotografie e testimonianze di veterinari e carabinieri, fondandosi invece sulle impressioni dell’allora comandante dei vigili urbani e di una volontaria, tra i testi chiamati dalla difesa, ma senza alcuna specifica competenza nel settore. Nel 2021 arriva invece la condanna in appello (12 mila euro di multa più le spese), che diverrà definitiva in cassazione il 30 settembre del 2022.
La Corte d’Appello ha dichiarato che “l’imputata, pure avendo le competenze specifiche, trattandosi di un soggetto operante nel settore della tutela degli animali, a fronte delle evidenti condizioni di malessere degli animali, non si è in alcun modo attivata per porvi rimedio, agendo così nella piena coscienza di causare sofferenza agli animali e accettando la stessa”.
LE DOMANDE SENZA RISPOSTA
l’opinione pubblica, per forza di cose, si è concentrata sul maltrattamento. Spesso si è assistito ad una contrapposizione tipicamente paesana, fatta di due opposti schieramenti: gli amici della Signorello che “come lei, nessuno ama gli animali e questo è soltanto un complotto”. E i nemici, per i quali la sentenza di condanna dimostrerebbe invece che gli animali non li ha mai amati.
L’aspetto giudiziario però, più che definire le costellazioni valoriali di una persona, si occupa della rilevanza penale di un fatto. Un fatto specifico, che si verifica in un momento specifico.
Ma non c’è solo l’aspetto giudiziario. E non c’è stato solo il maltrattamento. Anzi, ci sono ancora delle domande che avrebbero bisogno di una risposta. Ne abbozziamo alcune, in ordine sparso:
Come è stato possibile che un’amministrazione comunale trasferisse più di 200 cani in strutture totalmente abusive?
Perché al momento del trasferimento, nel 2013, non c’era nessuno del personale del comune, nessuno dell’Asp, nessun veterinario?
Perché nessuna annotazione dei microchip?
Come mai a nessuno sembrava strano che da quei rifugi non arrivassero richieste di intervento veterinario o comunicazioni di decessi?
Dove venivano smaltiti i cani che via via morivano?
I cani sequestrati furono 150. L’Asp, quattro mesi prima, ne aveva censiti 245. Ne mancano quasi cento. Che fine hanno fatto?
Perché il comune di Castelvetrano non si è costituito parte civile al processo?
Perché, anzi, troviamo l’allora sindaco Errante tra i testi citati dalla difesa?
Come mai a favore della difesa troviamo anche la testimonianza dell’allora comandante dei vigili urbani Vincenzo Bucca?
Davvero, ancora oggi, i comuni hanno il coraggio di affidare servizi di custodia di animali ad associazioni animaliste senza un rifugio a norma? Funziona ancora che “poi tanto se la sbriga l’associazione a distribuirli (5 l’uno, dieci l’uno) ai vari associati?”.
Funziona ancora il rudere abbandonato, con quattro tavole qui e là e una recinzione malandata, dove mettere i randagi prelevati da volontari senza mezzi idonei e senza alcun serio controllo veterinario?
Meglio che in canile. Ma siamo proprio sicuri?
Egidio Morici