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26/02/2023 06:00:00

10 anni fa l'omicidio ad Ummari di don Michele Di Stefano 

Oggi 26 febbraio 2023 ricorre il decimo anniversario dell'omicidio di don Michele Di Stefano ad Ummari. Il prete di 79 anni fu assassinato la notte tra lunedì 25 e martedì 26 Febbraio, a colpi di bastone nella canonica della chiesetta del borgo vicino Fulgatore.

Ad ucciderlo fu Antonio Incandela, fermato il 17 aprile del 2013. L'uomo, allora 33enne, confessò l’omicidio dicendo di averlo fatto per rancore per alcune omelie del parroco. Incandela, dopo l'omicidio aveva simulato una rapina portando via denaro e portafoglio del sacerdote.  Il corpo di don Michele venne scoperto solo l’indomani nel primo pomeriggio. La sorella Pina lo aspettava a pranzo, a Calatafimi Segesta, ma dalla sorella npon ci arrivò mai. Il cognato Vito Accardo, preoccupato, ha rintracciato un agente di commercio che vive lì vicino, e ha mandato a cercarlo. Lo ha trovato nel suo letto, con sangue dappertutto.

A tradire Incandela sono stati proprio i prelievi che ha effettuato con la carta bancomat rubata a don Michele. L'uomo è stato ripreso dalle telecamere del sistema di videosorveglianza delle banche dove ha effettuato i prelievi. 

Oggi alle ore 11, nella chiesa della frazione di Ummari il vescovo di Trapani Pietro Maria Fragnelli presiederà la messa alla quale parteciperanno le due comunità di Fulgatore e Ummari. 

Chi era don Michele - Don Michele Di Stefano, ordinato presbitero nella sua città, a Calatafimi dal vescovo Francesco Ricceri nel 1965, sacerdote per 48 anni, don Di Stefano è stato parroco per 43 anni nella frazione di Fulgatore. Compiuti i 75 anni ha continuato il suo ministero pastorale di parroco dedicandosi alla parrocchia “Gesù, Giuseppe e Maria” della vicina Ummari. Per molti anni è stato assistente dei lavoratori di Azione Cattolica e assistente spirituale della Coldiretti provinciale, ruolo al quale dedicava molte energie. Il nome di don Di Stefano è stato inserito da Fides nell’elenco dei missionari morti nel mondo nel 2013.

Il prete amato da tutti - Originario di Calatafimi, la famiglia di don Michele è tra le più note del Comune, il fratello è stato anche Sindaco della cittadina. Era, davvero, il classico prete di campagna. Le mani grandi, la zappa in mano. Era più facile vederlo in pantaloncini che in tonaca. Aiutava tutti e da quelle parti, si batteva per migliorare le condizioni dei lavoratori dei campi, dei piccoli proprietari terrieri. A Fulgatore, la contrada vicino ad Ummari, gli volevano tutti bene. E’ stato il prete della frazione per 40 anni. Ha fatto costruire un anfiteatro, ha organizzato tante attività. Ha battezzato e sposato due generazioni di trapanesi. Tant’è che quando, qualche anno prima, l'allora Vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, ne ordinò il trasferimento ad Ummari - nel quadro di una normale rotazione di sacerdoti - quel chilometro di distanza sembrò agli abitanti una specie di smacco, si sfiorò quasi la ribellione popolare. Poi, però, la scelta fece tutti contenti. Primo, Don Michele, che viveva il borgo abbandonato come il suo regno, il suo presepe: “Non ho paura - diceva sempre - perché non sono mai solo”. Poi, gli abitanti di Ummari, perché Don Michele, grazie alle sue conoscenze e alla sua passione, era riuscito in pochi anni a rimettere in sesto la chiesetta di Ummari, a rifare il prospetto ed il sagrato, a far rinascere un poco il giardino. Anche il campo di calcetto che c’è all’ingresso del borgo dicono che sia opera sua. E, dunque, succedeva questo: che tutti i fine settimana, il borgo si rianimava, le macchine posteggiate sul sagrato, tanta gente a messa, e tanta che si fermava dopo la funzione, a scambiare due chiacchiere con il prete, a fare un giro, a dare una mano. A Natale c'era il presepe, per l'Epifania l'arrivo dei Magi lungo la strada statale con il Sindaco e la banda. E poi i concerti del coro, le benedizioni dei raccolti.

Il processo lampo, la condanna a trenta anni e il movente ancora misterioso - Fu un processo lampo quello nei confronti del reo confesso assassino, Antonio Incandela, concluso con la condanna dell'imputato a trenta anni di reclusione. Il processo si è svolto con il rito abbreviato: e pertanto, sconto di pena velocità del processo, e, soprattutto, porte chiuse, senza giornalisti o cittadini ad assistere e a farsi una ragione su un delitto che rimane assurdo e misterioso ancora oggi, inspiegato, soprattutto nel movente. Incandela, infatti, ha detto dapprima, quando è stato incastrato dagli investigatori, di aver ucciso Di Stefano perchè non sopportava le sue omelie, poi ha ritrattato parzialmente e ha fatto intendere di essere stato in qualche modo molestato dal prete in gioventù, ma non è credibile.  Certo è che Incandela era molto noto ad Ummari per la sua irruenza, e perchè pizzicato più volte per dei piccoli attentati incendiari. La verità consegnata dalla sentenza è una: Incandela voleva dei soldi, ha pensato bene di rapinare Don Michele, e lo ha ucciso nel sonno. Tutti sanno però che non si trattò solo di questo, il movente a dieci anni dall'omicidio rimane un mistero.