Il giudice «dimentica» sei imputati ed emette una sentenza «parziale». Poi prova a recuperare la dimenticanza, emettendo un secondo dispositivo, all’indomani del primo, ma la difesa fa notare l’irritualità. Alla fine, si dichiara incompatibile, rimettendo le carte ad un altro collega, davanti al quale il procedimento dovrà ripartire da capo. Un pasticcio inconsueto, quello avvenuto ad Agrigento, che di fatto ha annullato, per alcuni imputati, il processo scaturito dall’inchiesta antidroga ribattezzata «Casuzze», che ha disarticolato un giro di spaccio che sarebbe stato messo in piedi fra Favara e Canicattì.
Questi i fatti: nelle scorse settimane il pubblico ministero Gloria Andreoli aveva chiesto la condanna dei nove imputati dello stralcio abbreviato. Per Michele Bongiorno, 30 anni, era stata proposta la pena di 2 anni, 6 mesi e 20 giorni; per Alisea D’Ippolito, di 20 anni, 10 mesi e 20 giorni; per Giovanni Lombardo, di 27 anni, un anno e 4 mesi; per Floriana Pia Pullara, di 21 anni, 3 anni e 8 mesi; per Cristina Schembri, di 24 anni, 4 anni; per Antonio Sciortino, di 45 anni, 3 anni, un mese e 10 giorni; per Calogero Sorce, di 28 anni, 2 anni, 3 mesi e 10 giorni; per Angelo Stagno, 28 anni: 3 anni, 1 mese e 10 giorni; infine, per Domenico Stagno, di 21 anni, 10 mesi e 20 giorni.
elle udienze successive hanno discusso tutti i difensori (fra gli altri gli avvocati Salvatore Cusumano, Giuseppe Barba, Ninni Giardina, Graziella Vella, Teresa Alba Raguccia e Salvatore Virgone) fino all’epilogo di giovedì sera, 16 marzo: il giudice Francesco Provenzano rientra in aula dalla camera di consiglio e legge una serie di dispositivi, fra i quali questo. Nella sentenza, tuttavia, si fa riferimento solo a Bongiorno, Pullara e Lombardo (condannati a 3 anni e 8 mesi i primi due, un anno e 4 mesi Lombardo), degli altri no. Alla richiesta stupita dei difensori il giudice ammette la dimenticanza e comunica che l’indomani avrebbe letto un «dispositivo di integrazione». Cosa che, venerdì mattina, è stata fatta. Ma uno dei difensori, l’avvocato Salvatore Cusumano, ha fatto notare l’irritualità e soprattutto il fatto che l’avere emesso il primo dispositivo lo aveva reso incompatibile dal proseguire la trattazione. Il giudice, dopo un’ora di «riflessione», ha in effetti rimesso gli altri ad un altro gup, azzerando il processo.