Non ha dubbi il giudice monocratico Giusi Montericcio nel motivare la condanna (un anno di reclusione, pena sospesa) inflitta all’ex magistrato Maria Angioni per false informazioni al pubblico ministero. Reato che sarebbe stato commesso nell’ambito delle nuove indagini aperte dalla Procura lilybetana sul “caso Denise Pipitone” nella primavera del 2021.
Per il giudice Montericcio, la Angioni, in estrema sintesi, avrebbe mentito per coprire i suoi insuccessi quando da pm coordinava l’inchiesta sul sequestro della piccola Denise. Secondo l’ex pm, le indagini non condussero alla scoperta dei colpevoli perché qualcuno al Commissariato di Mazara avrebbe depistato. Ma questo per il giudice Montericcio sarebbe stato un modo per scrollarsi di dosso le responsabilità dell’insuccesso investigativo. Maria Angioni denunciò depistaggi nell’indagine sul rapimento di Denise Pipitone, indicando tra i responsabili i poliziotti del locale commissariato. Ma queste accuse si sono rivelate false e l’hanno portata al processo. Nelle motivazioni della sentenza di condanna il giudice Montericcio afferma che l’imputata in ogni fase del procedimento-processo “sfruttando le proprie conoscenze giuridiche, ha giocato sulla possibilità di addurre in qualsiasi momento, come scusa, il cattivo ricordo”. Il giudice ha sottolineato che l’imputato ha il diritto di mentire, ma d’altra parte è altrettanto vero che “ciò va tenuto in debita considerazione sia al fine di parametrare la pena da infliggere che la eventuale concessione delle attenuanti generiche”.
Riguardo il fatto che l’imputata all’epoca dei fatti fosse un magistrato per il giudice incide senza ombra di dubbio sull’intensità del dolo e sulla gravità del danno causato con la sua condotta. La Montericcio ha, inoltre, sottolineato che l’ex pm “ha mantenuto un comportamento ostile nei confronti del commissariato nonostante le evidenze processuali abbiamo dimostrato l’assoluta infondatezza delle accuse mosse”.
In definitiva, avrebbe mentito per coprire i suoi “insuccessi personali”. E cercò di addossare colpe ad altri, sfruttando le sue competenze giuridiche. Sono tre le dichiarazioni fatte da Angioni giudicate false prima dalla Procura di Marsala (pm Roberto Piscitello) e poi anche dal giudice che l’ha condannata. La prima riguarda la disattivazione di una telecamera che, a dire dell'imputata, avrebbe potuto portare elementi utili alle indagini sulla scomparsa della bambina e che sarebbe stata decisa dalla polizia a sua insaputa. Gli inquirenti hanno scoperto che in realtà la telecamera era stata attivata, per la prima volta, su espressa richiesta della polizia e che sarebbe stata disattivata su decisione della Procura, ufficio dell'Angioni, nel 2005. La seconda è relativa all'accusa di fughe di notizie lanciata dall'ex pm che ha raccontato che avrebbe deciso di sottrarre l'ascolto delle intercettazioni agli agenti del commissariato di Mazara perché non si fidava di loro avendo scoperto che alcuni indagati erano informati degli sviluppi dell'inchiesta. Dalle indagini è venuto fuori invece che proprio la Angioni restituì alla polizia l'incarico di ascoltare le intercettazioni, condotta poco coerente, secondo l'accusa, con la scoperta di fughe di notizie. Infine le dichiarazioni sull'ex dirigente del commissariato di Marsala Antonio Sfameni che, a dire dell'imputata, sarebbe stato indagato per "anomalie" nell'inchiesta su Denise: circostanza, anche questa, smentita.
Adesso, si attende il processo d’appello.