Da Roberto Helg a Antonello Montante, da Silvana Saguto a Daniela Lo Verde, da Antonio Candela a Fabio Damiani. Imprenditori, manager, magistrati e presidi, tutti accomunati dall’impegno antimafia e antiracket e tutti arrestati nell’ambito di inchieste per corruzione.
L’ultimo arresto in ordine di tempo, è quello della preside Daniela Lo Verde, simbolo della legalità allo Zen di Palermo e beccata a rubare cibo, pc e tablet acquistati con i fondi europei contro la dispersione scolastica. Per Antonello Cracolici, presidente della commissione antimafia regionale, è “un colpo mortale e definitivo alla credibilità dell’antimafia, che mina la serietà di quanti si impegnano ogni giorno”. Seguendo il ragionamento di Cracolici non si può che considerare questo come la fine di un’antimafia che ormai da più di otto anni ha iniziato a vacillare assieme alle sue personalità simbolo, cadute una ad una.
Era il marzo del 2015 quando venne arrestato Roberto Helg, con l’accusa di estorsione il presidente della Camera di Commercio e vicepresidente della Gesap, la società di gestione dell’aeroporto “Falcone e Borsellino” di Palermo – Punta Raisi. Helg venne arrestato mentre intascava una tangente di 100 mila euro da un ristoratore, affittuario di uno spazio dell’aeroporto, che si era rivolto a lui per la proroga del contratto. Helg era il fondatore dello Sportello della legalità, alleato degli imprenditori che dicevano no al pizzo, solo che il pizzo finì con il chiederlo Helg agli imprenditori.
Nei mesi e anni dopo l’arresto di Helg, Antonello Montante di Confindustria Sicilia, lanciava appelli ad unire le forze contro il racket e le infiltrazioni nell’economia. A qualche mese dall’arresto di Helg, disse che c’era in atto un tentativo di delegittimare chi si batte contro la mafia. Montante dava patenti di legalità a imprenditori, politici, giornalisti a lui vicini, per gli altri invece, preparava dei dossier dicendo che erano contro l’antimafia.
A maggio del 2018 è stato arrestato, condannato in primo grado a 14 anni e in secondo ad otto di reclusione. Sono state le dichiarazioni rese da due imprenditori, assai vicini a Montante, l’ex assessore regionale Marco Venturi e l’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero a svelare la rete di relazioni che Montante era riuscito ad instaurare sbandierando il vessillo della legalità. Questa immagine di “paladino della legalità” sarebbe servita in realtà a nascondere i rapporti che Montante avrebbe avuto in passato con esponenti di spicco della criminalità organizzata. La vicenda Montante coinvolse la politica e il governo Crocetta. Venuti e Cicero accusarono anche l’ex presidente dell’antimafia Beppe Lumia di aver chiesto soldi agli imprenditori per la campagna elettorale di Crocetta.
Assieme agli imprenditori antimafia cadde anche un altro simbolo quello della magistratura antimafia. A finire in manette fu Silvana Saguto, presidente delle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. La vicenda che l’ha vista coinvolta riguardava la gestione dei beni confiscati ai mafiosi che, da opportunità per la collettività diventavano una opportunità per lei e il suo cerchio magico.
Il suo era un vero e proprio sistema, teso all'arricchimento illecito, tramite una rete di favori, quello che ruotava attorno alla "papessa" dei beni sequestrati a Palermo. La Saguto era molto cosciente dei suoi poteri, tanto che aveva deciso di mettere mano su tutti i beni sequestrati di importanza tra Palermo, Trapani, e Agrigento. Chiamava questa mezza Sicilia "il triangolone". Piazzava giudici e amministratori di fiducia, così come emerse dalle indagini della procura di Caltanissetta e del nucleo di polizia tributaria di Palermo. Oltre alla Saguto sono rimasti coinvolti nell'inchiesta l’avvocato Cappellano Seminara e il marito Lorenzo Caramma. I pm nisseni parlano di un “rapporto di somministrazione corruttiva fra Saguto e Cappellano, per commettere una serie indeterminata di delitti di corruzione, peculato, falso materiale, falso ideologico e truffa aggravata”.
E infine tra coloro che erano considerati paladini dell’antimafia ci sono anche, Antonio Candela e Fabio Damiani, il primo ex manager dell’Asp di Palermo che ha denunciato infiltrazioni criminali negli appalti, per finire lui stesso agli arresti con l’operazione “Sorella Sanità” per aver chiesto tangenti e il secondo, manager dell’Asp di Trapani che era stato alla guida della centrale unica di committenza della Regione, dopo che anche lui aveva denunciato infiltrazioni. Queste le veloci e rapide carriere nell'antimafia e le altrettanto rapide cadute, di coloro che hanno fatto della lotta alla criminalità organizzata una lobby.