Boss sempre più giovani e ai vertici delle famiglie mafiose palermitane, ma anche l’influenza dei stessi boss che in carcere rappresentavano le istanze degli altri detenuti, e la “trattativa” condotta durante il lockdown. E’ questo ciò che emerge dall’indagine che martedì scorso ha smantellato il clan mafioso del Villaggio Santa Rosalia.
33 le persone coinvolte: 25 in custodia cautelare in carcere, una sottoposta agli arresti domiciliari e altre 7 hanno ricevuto l'interdizione dall'esercizio di attività imprenditoriali. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa, con l'aggravante dell'associazione armata, trasferimento fraudolento di capitali a vantaggio della Cosa Nostra e traffico di stupefacenti con l'utilizzo di metodi mafiosi.
5 milioni sequestrati - Nel corso dell'operazione, della Guardia di Finanza, e coordinata dalla Procura di Palermo, il giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro preventivo di 6 attività commerciali operanti nei settori della ristorazione, del commercio al dettaglio di generi alimentari, del trasporto merci su strada e del movimento terra, per un valore totale di circa 5 milioni di euro. Nell’operazione sono stati impiegati 220 militari della Guardia di Finanza, dei reparti di Palermo, Caltanissetta, Agrigento, Siracusa e Trapani, per l'esecuzione delle misure cautelari e numerose perquisizioni presso i luoghi di residenza degli indagati.
Sempre più giovani al comando dei clan - Sono sempre più i giovani, le nuove leve che oggi guidano i clan a Palermo. L’indagine della Guardia di Finanza, coordinata dalla procura distrettuale antimafia, conferma che il ventiduenne, Vincenzo Sorrentino, figlio di Salvino, il capo mafia del Villaggio Santa Rosalia: giovanissimo ma già fedele esecutore degli ordini del padre detenuto a Rebibbia. Vincenzo Sorrentino è uno dei 26 arrestati dell’ultimo blitz scattato la scorsa notte, che scardina un pezzo di Cosa nostra tutta orientata a riorganizzarsi. Il clan del Villaggio, che opera nella periferia orientale della città, è un pezzo importante del potente mandamento mafioso di Pagliarel li, aveva una spiccata vocazione economica, per gli investimenti che i boss continuavano a fare in svariati settori, dal movimento terra al commercio.
Gli altri giovani arrestati – A finire in manette nell’inchiesta del Gico del nucleo di polizia economico finanziaria, coordinata dalla procura diretta da Maurizio de Lucia, anche un altro giovane boss: Alessandro Miceli, classe 1995, nipote di Giovanni Cancemi, il secondo nome autorevole del clan, detenuto pure lui. C’era anche un terzo millennial, Leonardo Marino, classe 1989, anche lui snodo fondamentale del clan.
Gli ordini dal carcere con le videochiamate - Salvino Sorrentino, detto lo “studentino”, dava gli ordini dal carcere attraverso i video colloqui con i familiari autorizzati durante l’emergenza Covid. Con i colloqui, arrivavano disposizioni ben precise per gestire il clan e soprattutto gli investimenti. A gesti, o con un linguaggio cifrato. I dialoghi «Le scarpe compragliele», diceva Sorrentino senior a un complice, che non poteva affatto stare a casa dei familiari del padrino durante il colloquio. Era un modo per raccomandare l’assistenza alle famiglie dei detenuti. Così, con le sue parole in codice, Salvino Sorrentino pensava di eludere le intercettazioni, ogni colloquio era infatti registrato. Ma tre anni fa i video colloqui diventati dei summit non sono sfuggiti al nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo diretto da colonnello Gianluca Angelini, che da mesi ormai teneva sotto controllo i movimenti dell’attivissimo clan del Villaggio Santa Rosalia. A guidare l’indagine, il procuratore aggiunto Paolo Guido con i sostituti Federica La Chioma e Dario Scaletta (oggi al Consiglio superiore della magistratura).
Il ruolo di Vincenzo Sorrentino e degli altri giovani boss – Con i video colloqui era arrivata l’investitura di Vincenzo Sorrentino, classe 2000, in questo momento il mafioso più giovane di Palermo. Con gli altri boss si vantava: «Vieni ti faccio vedere la fotografa di mio papà». E la postava addirittura su TikTok. Era un modo per comunicare il passaggio della leadership. Un altro boss collegato in video, Leonardo Marino, si baciò invece la fede in segno di fedeltà al capomafia. E poi Sorrentino sussurrò: «Ti raccomando la tua casa, i bambini, a tutti». Un modo per dire di occuparsi della cosca. Marino rassicurò: «Statti tranquillo». E, intanto, i finanzieri del Gico, guidati dal tenente colonnello Cristiano Cocola, entravano sempre più dentro i segreti della nuova mafia. Il passaggio di testimone Un giorno, il capomafia detenuto fece cenno con le mani a qualcosa di piccolo. Era un riferimento a Giuseppe Calvaruso, il capo del mandamento di Pagliarelli, da cui dipende il Villaggio. Il figlio disse: «È inesistente». Il padre invitò a non scoraggiarsi: «Noialtri guadagniamoci il pane che ci viene il cuore». Calvaruso era in Brasile, e nel 2020 non aveva alcuna intenzione di tornare in Sicilia. Sorrentino senior disse: «Ma quello che fa, si sono ritirati i fuggitivi?». E il figlio rispose: «No». Risposta del padre: «Minchia fanghi» Il giovane Sorrentino era parecchio intraprendente. Il padre lo invitava però alla prudenza: «Aspettiamo come finisce la sentenza, sono più contento sapendoti fuori e non so che». Il giovane rispondeva: «Io fuori non me ne voglio andare, se c’eri tu io me ne andavo, voglio stare qua, ma per come dico io». E il padre soddisfatto chiosava: «Tu con me a papà». Durante le video chiamate parlavano tranquillamente, non sospettavano di essere intercettati. «Domani, ho appuntamento con quello della polleria», diceva. Per un altro affare, il figlio parlava da mafioso navigato: «Se il Signore vuole di qua a sabato è fatta». Il padre era davvero soddisfatto per il lavoro del giovane: «La presenza fa leone». Ma il figlio voleva ancora più autonomia: «Tu con questo mettere bastone, mi fai sentire inutile… però va bene così, è giusto per te per un aspetto e per me è giusto per un altro.
Con il lockdown causato dal Covid-19 i boss di Cosa nostra facevano da ambasciatori per i carcerati del Pagliarelli - È ciò che viene fuori dall’indagine sul clan del Villaggio Santa Rosalia. Così scrive il gip Walter Turturici nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere 26 persone: «In quel periodo, i detenuti intrapresero iniziative volte ad intercedere con la direzione dell’istituto di pena per avanzare alcune istanze volte ad implementare la lista dei generi vittuari da poter acquistare e, dunque, ridurre le limitazioni causate dalle restrizioni imposte a seguito dell’emergenza Covid». Queste rivendicazioni «in nome e per conto di tutta la popolazione carceraria sono state assunte dai detenuti dell’area cosiddetta “Alta Sicurezza”.
Il ruolo del boss Ferrante all’interno del carcere – In carcere nel periodo del Covid è emerso il ruolo di primo piano di Andrea Ferrante, punto di riferimento per tutti gli altri esponenti mafiosi detenuti. Ferrante è uno dei boss più autorevoli del Villaggio: i finanzieri del Gico, con il contributo della polizia penitenziaria, lo hanno video intercettato mentre nella saletta della società parla con un altro mafioso importante del Villaggio, Giovanni Cancemi. In carcere avevano a disposizione anche alcuni detenuti “lavoranti”, quelli che girano per il carcere con varie mansioni, come quella di portare le notizie e i pizzini, che venivano sistemati dentro le bottigliette di caffè.
La "trattativa" in carcere condotta dai boss - Era la “trattativa” condotta dai boss a dare forza e autorevolezza ai capimafia. «Il 13 dicembre 2020 – scrive il gip Taurici - veniva richiesto ed ottenuto un incontro con la direzione da parte di una delegazione dei detenuti in regime di “Alta Sicurezza” così composta: Michele Madonia, Salvatore Sansone, Agostino D’Alterio, Francesco Pitarresi, Salvatore Ariolo, Cristian Cinà, Giuseppe Vassallo», insomma, il ghota della mafia palermitana. «Nel corso dell’incontro – si legge ancor nel provvedimento del giudice - i detenuti avanzavano alcune richieste, tra cui l’ampliamento di generi vittuari da acquistare per tramite del cosiddetto sopravvitto». Naturalmente, i boss sono abituati alle trattative a modo loro. E, allora, per portare avanti le loro istanze il giorno prima avevano fatto pressioni: Andrea Ferrante aveva organizzato una manifestazione di protesta con la battitura delle inferriate. Il boss venne intercettato mentre diceva: «Voi, per come sentite noi, iniziate». Scrive ancora il giudice: «Tali direttive erano state impartite anche ad altri esponenti mafiosi di rilievo, di altri mandamenti, tra i quali Giuseppe Di Cara, uomo d’onore di spicco del mandamento di Porta Nuova». Ferrante aveva pianificato la strategia dei boss: «E’ il discorso della spesa, la spesa la dobbiamo fare». Spesa che, fanno notare i finanzieri del Gico nel loro rapporto alla procura distrettuale antimafia, era uno dei «canali privilegiati per l’interscambio di comunicazioni riservate, sia a voce che tramite pizzini». I video registrati all’interno del carcere di Pagliarelli raccontano anche della riverenza che i detenuti avevano nei confronti di Ferrante. Nelle intercettazioni è finita la richiesta di un ospite della struttura che chiedeva aiuto al boss del Villagio per essere spostato di cella. Nel luglio del 2021, ci furono altre proteste dei detenuti. Ferrante venne intercettato in carcere mentre diceva a un compagno: «Dimmi una cosa… quella lista dove abbiamo messo le firme…appena tu ce l’hai nelle mani me la devi fare avere». La lista di altri generi alimentari da poter acquistare. Ferrante scoprì che due detenuti avevano poi cancellato la propria firma, andò su tutte le furie: «Lui cose mie non ne deve cancellare più! … te la posso dire una cosa io? Se la faceva un palermitano abbuscava di mia».