Gli americani persero 2700 uomini (e contarono 6mila feriti), inglesi e canadesi circa 3mila unità (più 7mila feriti e 2mila prigionieri), gli italiani soffrirono circa 4500 caduti (116 mila prigionieri e 30mila feriti) e i tedeschi 4300 morti (e 13.500 feriti). L’Operazione Husky avvenne nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943: lungo la costa tra Licata e Pachino, sbarcarono i contingenti americano, inglese e canadese. 80 anni fa.
"Chiariamo subito un punto - scrive Lino Buscemi - Quando il 10 luglio del 1943 le armate angloamericane sbarcarono nelle coste meridionali della Sicilia, non erano animati, come qualcuno volle far credere, dall’intenzione di «liberare» l’Isola ma, più realisticamente, di conquistarla e occuparla militarmente essendo territorio nemico a tutti gli effetti. Infatti, in quel momento, Italia, Germania e Giappone erano in guerra contro USA, Gran Bretagna, Francia ed altri Paesi. La Sicilia, pur con postazioni militari, armamenti ed equipaggiamenti insufficienti e inadeguati era presidiata, con il difficilissimo compito di difenderla, da circa 405.000 soldati di cui 90 mila tedeschi e 315 mila italiani. Nei programmi dei comandi angloamericani tutto il territorio siciliano doveva essere conquistato rapidamente in quindici giorni, invece di giorni ce ne vollero trentotto perché, soprattutto in alcuni centri della parte orientale dell’Isola, le truppe dell’Asse diedero filo da torcere agli angloamericani e canadesi prima di abbandonare il campo o di arrendersi".
Salvatore Lupo è lo storico (rilevantissimi i suoi studi sulla mafia) che, tra gli obiettivi della sua ricerca, ha messo quello di smontare il “mito” dell’accordo tra il governo degli Stati Uniti e i padrini siciliani per consentire alle forze alleate, nel 1943, di prendersi l’Isola passeggiando tra ali di folla plaudente.
Adesso, proprio in occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco, Lupo manda in libreria, per l’editore Donzelli, Il mito del grande complotto, il saggio nel quale smonta la tesi che la mafia abbia aiutato gli Alleati a mettere il primo piede sul suolo italiano occupato dai nazifascisti. Secondo questa versione la mafia, in cambio dell’aiuto prestato, avrebbe ottenuto di poter ricostituire le proprie reti devastate dalla repressione effettuata dal fascismo con il prefetto Mori; avrebbe potuto così gettare una sinistra ipoteca sulla storia dell’Italia repubblicana.
Lupo contesta la veridicità di questa narrazione, si chiede però quale sia la ragione della sua persistenza, nonostante le critiche mosse da molti storici che hanno condotto ricerche sulla storia della mafia e sulla storia dell’Operazione Husky.
Una teoria del complotto nacque nel luglio del 1943, durante la battaglia per la Sicilia. Le gerarchie del regime giustificarono la sconfitta con accuse di tradimento rivolte ai comandi militari italiani e, in parte alla società siciliana; gli avvenimenti successivi, la caduta del fascismo, avvenuta mentre in Sicilia ancora si combatteva (25 luglio), l’armistizio dell’8 settembre, la nascita della neofascista Repubblica sociale italiana, contribuirono a cristallizzare i termini della polemica. Ma questo è l’antefatto. La versione che include la mafia nel complotto si sarebbe affermata verso la fine degli anni Cinquanta e rimbalzò dall’America all’Italia, dove allora si parlava poco di mafia.
Lupo ricostruisce il dibattito che a metà degli anni Cinquanta animò l’opinione pubblica statunitense sui rapporti tra il sottomondo (underworld) della criminalità organizzata e la politica. Vennero tra l’altro richiamati fatti accaduti nel 1942, quando la Marina aveva ottenuto la collaborazione della mafia siculo americana per prevenire atti di sabotaggio nel porto di New York. A condurre la trattativa da parte mafiosa fu Lucky Luciano, allora detenuto. E qui Lupo si trova ad affrontare un complicato gioco di specchi. La minaccia dei sabotaggi era reale o artatamente provocata nel consolidato stile mafioso? Era il sabotaggio il vero problema. o l’intervento dei sindacati controllati dalla mafia aveva lo scopo di “disciplinare” la manodopera ed esautorare i sindacati più radicali?
Il dibattito che si svolse sulla stampa e in commissioni parlamentari ebbe protagonisti politici di primo piano come il senatore democratico Estes Kefauver e il procuratore e politico repubblicano Thomas Dewey, in tempi diversi entrambi competitori (sconfitti) per la Casa bianca.
Sorse una domanda: quella collaborazione si era estesa anche alla progettazione dell’Operazione Husky? La risposta fu negativa, sia nei risultati delle inchieste, sia, in seguito, negli studi storici che riguardano l’effettiva conduzione delle operazioni di sbarco e il governo dell’Isola occupata. La mafia in Sicilia aveva svolto un ruolo importante, e anche politico, ma per la propria capacità di profittare del mercato nero e della generale crisi sociale e istituzionale provocata dalla guerra.
La pubblicistica italiana riprese subito quel dibattito, ma ne ignorò le conclusioni, anzi le ribaltò sostenendo arbitrariamente che l’aiuto c’era stato. Fu in particolare Michele Pantaleone (Mafia e politica, Einaudi, 1962), militante socialista, a confezionare il racconto del foulard di Lucky Luciano lanciato sul paesino di Villalba per chiedere al capo mafia Calogero Vizzini di fare intervenire i “picciotti” in aiuto delle truppe statunitensi. In cambio i mafiosi avrebbero potuto esercitare liberamente i loro traffici.
Questa versione ebbe subito grande fortuna. Era nata a sinistra, in funzione anti-atlantica, ma ben presto fu accolta anche negli altri schieramenti politici, da magistrati e perfino nelle relazioni delle commissioni antimafia. Attribuire agli americani la colpa della persistenza della mafia era un modo di attribuire ad altri le responsabilità, osserva Lupo.