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17/07/2023 06:35:00

Mafia, l'attacco al concorso esterno. Di cosa si tratta 

Il concorso esterno in associazione mafiosa , di cui si è tornati a discutere in questi giorni dopo che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha espresso l'intenzione di «rimodularlo» per renderne più riconoscibili i confini, non è un reato presente nel Codice penale, bensì il combinato disposto di due articoli dello stesso Codice: il 110 (concorso nella commissione di un reato) e il 416-bis (associazione di tipo mafioso). Proprio l'assenza di codificazione rende questo istituto, agli occhi di molti giuristi, bisognoso di una maggiore tipizzazione tramite l'introduzione nell'ordinamento di una norma ad hoc.

Negli anni, il concorso esterno è stato uno strumento utile ai magistrati antimafia per colpire la cosiddetta "zona grigia", ovvero quei pezzi di potere politico o economico che, pur non essendo direttamente affiliati a cosa nostra, alla 'ndrangheta, alla camorra o alle altre associazioni di tipo mafioso, forniscono consapevolmente e volontariamente il loro contributo concreto e specifico al sodalizio criminale. 

 La configurabilità di un concorso esterno alla mafia emerse a metà degli anni 80 nella monumentale (40 volumi) ordinanza-sentenza dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per il maxi-processo a cosa nostra.

Negli ultimi anni diversi esponenti politici sono stati processati per concorso esterno in associazione mafiosa, ne sono seguite assoluzioni (come quella dell'ex ministro Dc Calogero Mannino nel 2010) e condanne in via definitiva, come quelle di tre ex parlamentari di Forza Italia: Marcello Dell'Utri, il trapanese Antonio D'Alì e Nicola Cosentino. Proprio il caso D'Alì, sul quale Tp24 ha pubblicato una lunga inchiesta, mostra quanto sia labile il confine che possa portare a volte alla condanna o all'assoluzione di un imputato, e quanto sia controverso il tema. Tra l'altro, proprio su D'Alì si attendono ancora, con un po' di ritardo, le motivazioni della Cassazione rispetto alla condanna definitiva. 

Per Nordio il concorso esterno in associazione mafiosa "èun reato evanescente, un ossimoro. Va rimodulato”. Per l' ex procuratore antimafia Piero Grasso: “Qui di evanescente c’è solo Nordio. Il quale dice che io vedo mafia dappertutto, peccato che lui non l’ha mai vista né quando faceva il pm, né adesso che fa il ministro”. E arriva la bocciatura di Federico Cafiero De Rao, oggi deputato M5S: “Non c’è nessuna norma da modificare, la verità è che si tratta di un reato avversato da questa parte politica”.

Non basta, perché una pioggia di critiche cade su Nordio, lo bocciano il presidente del tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini, il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli e quello di Reggio Calabria Stefano Musolino.

Grasso è sferzante: “Glielo spiego io a Nordio, come se fosse un alunno delle elementari, cos’è il concorso esterno e faccio l’esempio del ‘palo’ in una rapina, il cui ruolo è determinante, pur non commettendo il fatto. Chi non è inserito strutturalmente nell’associazione mafiosa può fornire un contributo volontario, consapevole, concreto, specifico, condizione necessaria per raggiungere il piano criminoso. Un caso? L’imprenditore, colluso al punto da avere uno scambio continuo e diretto con il gruppo mafioso con l’obiettivo di fargli ottenere soldi e potere”.

 

Ha senso cambiare il reato? E che fine farebbero i processi in corso? Dice Cafiero: “Non c’è nessuna norma da modificare perché si tratta di una costruzione tecnico giuridica che discende dall’applicazione dei principi del concorso di persone nel reato, né si può pensare di escluderli per il 416bis perché ciò contrasterebbe con l’intero sistema penale. Volete la verità? Il concorso è avversato da questa parte politica”. 

Netto il giudizio di Tescaroli: “È uno strumento fondamentale per reprimere le condotte più pericolose che costituiscono l’anello di collegamento tra i sodalizi mafiosi e gli appartenenti al mondo politico, finanziario ed economico, nonché al mondo delle professioni. Sono i contributi che consentono alle associazioni mafiose di ottenere risultati qualitativamente superiori rispetto a quelli che potrebbero ottenere agendo come mere congreghe di criminali che uccidono, incendiano, estorcono, trafficano in droga e in armi”.

 “Piu’ che pensare di rimodulare e’ necessario difendere il concorso esterno dagli attacchi interessati e strumentali che periodicamente si manifestano e oggi si ripropongono, con l’obiettivo di dimezzare l’antimafia circoscrivendola all’ala militare dell’organizzazione criminale e tenendo fuori i ‘colletti bianchi’ complici o collusi”. Lo scrive in una nota l’associazione Libera, dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa. “Abbiamo sempre detto – aggiunge Libera – che la forza della mafia e’ fuori dalla mafia e il concorso esterno e’ uno strumento utile per combattere ed incidere nella zona grigia. Un suo indebolimento fara’ pagare a tutti le conseguenze”. Del resto, ricorda l’associazione, “in tema di ‘concorso esterno’ Giovanni Falcone e gli altri magistrati del pool di Palermo avevano le idee chiare. Nella ordinanza-sentenza 17 luglio 1987 conclusiva del maxi-ter, testualmente scrivevano ‘manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono, eventualmente, realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto piu’ pericolose quanto piu’ subdole e striscianti, sussumibili, a titolo concorsuale, nel diritto di associazione mafiosa. Ed e’ proprio questa ‘convergenza di interessi’ col potere mafioso che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa nostra e della sua natura di contropotere, nonche’, correlativamente, delle difficolta’ incontrate nel reprimere le manifestazioni criminali”.