Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
11/08/2023 06:00:00

Mazara, la storia del "Massimo Garau". I processi e la manutenzione / 3

 Nonostante il naufragio del “Massimo Garau” il successo e l’ascesa imprenditoriale di Pino Mazara fu inarrestabile. Ma era per l’armatore mazarese un successo ormai “triste”. Continuiamo anche oggi su TP24 la terza parte della storia del Garau, il peschereccio mazarese, fiore all’occhiello della marineria affondato il 16 febbraio del 1987 (qui la prima parte e qui la seconda).

Il successo "triste" dell'armatore - Alle persone con cui si confidava, tra i quali il genero Gaspare Bilardello, autore del libro “Massimo Garau - La vera storia del Naufragio”, diceva che non vi era alcuna gioia nelle cose e nei risultati che raggiungeva, poiché non poteva più provare felicità piena. Un pensiero costante lo riportava a quei momenti tragici di quella sera in cui perse 19 persone. Quella sera cambiò per sempre la sua vita.

I procedimenti giudiziari - Per il disastro del Garau Pino Mazara fu accusato, insieme all'ingegnere Giuseppe Genovese del RINA, Registro Navale Italiano, di omicidio colposo plurimo, reato per il quale in sede penale, non furono mai condannati. L’assoluzione nei primi due gradi di giudizio, avvenne per non aver commesso il fatto nel primo, e per intervenuta prescrizione nel secondo, anche se comportò la possibilità per i familiari delle vittime di chiedere in sede civile la richiesta di risarcimento danni per la perdita dei loro congiunti. Vinsero in appello, dopo un’assoluzione in primo grado. I processi a Pino Mazara durarono 28 anni, tra civili e penali, costarono all’armatore e alla sua famiglia umiliazioni e fatiche, oltre al grande dolore nel ricordo della perdita dei suoi amici marinai. La magistratura, inizialmente attenta e riflessiva, poi molto più aggressiva e in seguito assolutamente impreparata fu incapace di trovare di dare risposte certe del perché dell’affondamento, lasciando nello sconcerto familiari delle vittime e lo stesso armatore. Sin dai primi giorni subito dopo il naufragio, secondo alcuni magistrati, gli scopi del viaggio del Massimo Garau sarebbero stati diversi rispetto alla semplice pesca del gambero e avrebbero nascosto finalità illecite. In base a cosa lo avevano dichiarato non era dato sapere, visto che dalle indagini successive nulla emerse e men che meno nelle sentenze, sia penali che civili. Nella inevitabile vicenda giudiziaria conseguente al naufragio del Garau, Mazara ebbe una sola fortuna: la presenza di un giudice, competente, neutro, equilibrato, il suo nome era Paolo Borsellino.

Il peschereccio “Massimo Garau” – Era una nave da pesca in acciaio, tecnologicamente molto avanzata, costruita nel 1981 nei cantieri navali Morini di Ancona, lunga trentuno metri, larga sette. Le tonnellate di stazza lorda erano centosettantacinque e con una potenza del motore di milletrecentocinquanta cavalli con elica a passo variabile. Chi si intende di barche e pescherecci comprenderà la capacità tecnologica di cui disponeva il Garau. Quel motopesca, adibito a quella oceanica, era, per quei tempi, ma lo sarebbe ancora ora, una nave di gran livello e soprattutto competitiva per la propria attività. Pino Mazara, forte della sua grande disponibilità economica, riuscì rispetto alla richiesta del venditore nel 1983, che era di un miliardo di vecchie lire, a comprarlo ottocento milioni, pogandolo quattrocento milioni in contanti e la metà con un mutuo bancario.

Rotta verso l’Africa - Appena acquistato il Garau fece rotta per Dakar direttamente dal porto di Cagliari dove si trovava. Rimase in Africa tre anni e lavoro ininterrottamente, facendo base in Senegal e pescando negli Stati vicini tra i quali la Sierra Leone. L’armatore riuscì con i ricavi ottenuti dalla pesca in poco meno di un anno, ad ammortizzare il costo d’acquisto della nave stessa e per il successivo anno e mezzo a far guadagnare alla compagnia armatoriale quasi lo stesso importo d’acquisto.

Ritorno a Mazara e lavori di manutenzione straordinaria – Alla fine del 1986, il Massimo Garau fece ritorno a Mazara del Vallo per i lavori di manutenzione straordinaria, lavori che vennero effettuati sotto la direzione del R.I.Na., il Registro Italiano Navale. L’ente esige che tutto venga fatto a regola d’arte e in osservanza delle leggi in materia. Questi interventi di manutenzione portarono in seguito all’indagine e al rinvio a giudizio insieme all’armatore di un funzionario del R.I.Na, accusati dalla procura di presunto omicidio colposo plurimo. La nave era assicurata per un miliardo e cento milioni delle vecchie lire, quasi pari all’importo di acquisto, più i costi sostenuti per i lavori ordinari e straordinari, oltre a quelli dell’equipaggiamento.

Il cantiere navale - Dopo il periodo di pesca e il ritorno a Mazara con a bordo oltre all’equipaggio italiano anche quello africano regolarmente imbarcato, la nave venne tirata in bacino per effettuare una serie di lavori di manutenzione presso il cantiere mazarese e per preparala ad affrontare il mare per il ritorno a Dakar, dove avrebbe ripreso la sua attività. Il cantiere navale a cui furono affidati i lavori era uno dei migliori in provincia per la costruzione, riparazione e ammodernamento delle navi da pesca. Ad amministrarlo era un anziano mastro d’ascia interessato a tutto tranne che al vile denaro, e questo perché la dedizione, meticolosità maniacale con la quale si approcciava alle costruzioni navali o alle riparazioni avevano precedenza su ogni altra cosa, anche sulla stessa sostenibilità economica dei lavori. Il Garau arrivò a Mazara il 6 novembre del 1986 e nella stessa giornata fu posto in disarmo. Proveniva da Lomè in Togo e l’imbarco dei marinai a bordo era stato autorizzato dal Consolato d’Italia presente nella capitale togolese. Nel porto peschereccio di approdo, e nel cantiere per le riparazioni, il Garau rimase fino al giorno della partenza, quel tragico 16 febbraio del 1987.

Continua…