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24/09/2023 06:00:00

Il racconto della Sicilia nelle fiction sulla mafia. Il caso "Maria Corleone"

L’avranno pensata così.
«Facciamo una fiction sulla mafia, tipo Rosy Abate, ma con un’altra protagonista».
«Mafia, onore, Sicilia, donne: funziona sempre».
«E come la chiamiamo?»
«Il nome più comune? Maria».
«Perfetto. E il cognome … un nome che evochi subito Cosa nostra … Reina? No. Bontade, chi se lo ricorda. Ah… Corleone».
«Ecco, Maria Corleone!».


“Maria Corleone” è il titolo della nuova fiction in programmazione in prima serata su Canale 5. Ed è anche il nome della protagonista.Magari è un omaggio al Padrino, dato che il film capolavoro di Francis Ford Coppola compie quest’anno mezzo secolo. Fece conoscere al mondo la mafia e la famiglia Corleone, con un successo così enorme che ancora oggi alcuni stereotipi sono rimasti duri da sconfiggere perché tutto il globo terracqueo dal 1973 è convinto che la mafia siciliana sia esattamente quella cosa lì: l’onore, il rispetto, il tradimento, la famigghia, i cannoli, le ammazzatine.


A guardare “Maria Corleone”, sembra di stare dalle parti proprio della parodia (forse è davvero così: la famiglia dei “cattivi” si chiama Barresi, quasi come il Barrese rivale di Don Vito nel film di Coppola). Ma intanto è passato mezzo secolo dal Padrino, sono passati quaranta anni dalla Piovra, e dal Commissario Cattani che svelava la mafia al pubblico televisivo, ma la Sicilia e Palermo rimangono sempre uguali, in un certo tipo di racconto.

Nel mezzo – dalla Piovra a oggi – in Italia e in Sicilia sono accadute cose: ci sono stati attentati, presunte trattative, mafie capitali e quinte mafie, gomorre e suburre, sequestri e confische, carcere duro e papelli, colletti bianchi e latitanti arrestati. Non c’è più un mafioso in giro a pagarlo oro.


E certo, sono tutti dentro la grande fiction italiana, a parlare un siciliano con l’accento che ormai usano solo certi attori e i venditori ambulanti di granite, con i verbi alla fine («Meno male che tu muto eri..») e il passato remoto in ogni domanda.

Già la scena iniziale con le pecore a pascolo e un “Ciuri ciuri” rivisitato, dice tutto. Ma meritano menzione il killer con gli stivali da gringo del New Mexico, la riunione della cupola attorno al tavolo di mogano deluxe, con i boss che brindano «all’interporto e agli americani».

E che dire del padre della protagonista, il Don Vito Corleone della situazione, per intenderci, che di fronte alla figlia che gli confessa di aspettare un figlio (da un magistrato, ahi!), le fa una sola, saggia richiesta: «Il mio primo nipote ava a essere un masculo!». E poi c’è anche un figlio ribelle del capomafia che fa capolino, ed è un militante antimafia (si, è quello che ha capito tutto, il genio della famiglia).

Si aggiornano solamente le trame, cambiano i mestieri (il riscatto della giovane siciliana di famiglia mafiosa passa adesso dal mondo della moda), qualche location. In questo caso la sinossi recita: Maria Corleone è una giovane stilista cresciuta in una famiglia mafiosa che, per realizzare il suo sogno, si è trasferita da Palermo a Milano. Una volta rientrata nella sua città natale, per festeggiare l’anniversario di matrimonio dei suoi genitori, Maria rimane coinvolta in un attentato mafioso, durante il quale viene ucciso il fratello gemello Giovanni. Dopo l’attentato, per difendere l’onore della sua famiglia, inizia a collaborare con i boss della mafia, mettendo in pericolo la vita di suo figlio e del suo compagno, il procuratore Luca Spada.

Ah, i funerali del fratello. Si scava una fossa in un prato verde che neanche nelle canzoni di Gianni Morandi, per seppellire il de cuius. In Sicilia, sembra strano lo so, ma abbiamo i cimiteri, con i loculi, tutti belli giusti, in fila, e certe cappelle che sembrano chiese e pure i forni crematori, alla bisogna, ma negli sceneggiati in tv chi muore, finisce sempre nella fossa. Ma, attenzione, qui, sulla cassa, si getta con la mano un pugno di terra. Come nella tradizione del funerale aristocratico, il rito del funerale more nobilium che pure Wikipedia, già alla prima riga, spiega che «è una forma di cerimoniale funebre riservato ai defunti appartenenti a famiglia nobile, e prevalentemente italiano, fatta eccezione per la Sicilia ove non è usato».

Chissà cosa ne pensano a Corleone, nel senso della città. Quando, un anno fa, era stato annunciato il progetto, il titolo provvisorio era Lady Corleone. Il Nicolosi, aveva subito mandato una diffida alla produzione: «Il collegamento inevitabile con la buia pagina di storia corleonese ha suscitato nella comunità un sentimento di indignazione – aveva scritto – perché nuovamente immersa nella condizione di doversi difendere da immagini poco rappresentative della realtà odierna, ma che evocano un tempo ormai remoto. Da molti anni infatti la città è impegnata in una costante attività antimafia».Il sindaco ha ottenuto solo il cambio di una parola del titolo su due. Da Lady Corleone, a Maria Corleone.

Piccole dispute a parte, Maria Corleone è stata un discreto successo. La prima puntata è stata vista da due milioni e settecentomila persone, dice l’Auditel, ed è stato il programma più seguito, battendo anche lo speciale su Lucio Battisti.

Negli stessi giorni in cui debuttava la nuova fiction mafia style di Canale 5, in Sicilia scoppiava la nuova appassionante polemica: nei negozietti di souvenir dei traghetti che fanno la spola sullo Stretto di Messina, infatti, si scopre che sono in vendita le magliette del tizio con la coppola, le calamite «minchia, in Sicilia fui», o quelle con il padrino. Dalla Giunta del presidente della Regione, Schifani, non hanno perso tempo e hanno chiesto alla compagnia di navigazione di rimuovere le vetrine con quei souvenir: «Questi gadget – dice l’assessore alle attività produttive Edy Tamajo – riportano immagini e scritte che risultano lesive della dignità dei siciliani onesti. Non si può accettare l’idea di rappresentare in questo modo una parodia grottesca e di basso profilo, per attrarre i turisti, consegnando loro un’immagine fortemente negativa della nostra Isola, che allude palesemente alla violenza e alla mafiosità. Dopo stragi, vittime e impegno, per isolare la cultura mafiosa, è triste constatare che i suoi simboli possano diventare protagonisti, sia pure ironicamente, dei vari souvenir che si offrono ai turisti».

I ninnoli sono stati dunque rimossi e messi in magazzino. La vetrinetta si è liberata. Così adesso magari c’è posto per mettere i gadget di Maria Corleone.